Categoria: vini bianchi italiani

Ettore Germano, viticoltori dal 1856

Tornare tra le colline delle Langhe, patrimonio dell’umanità, è sempre un piacere. Questa volta il mio interesse mi ha portato a Serralunga d’Alba, uno degli 11 comuni del Barolo, nella storica cantina ‘Ettore Germano’, viticoltori dal 1856. A condurre l’azienda sono Sergio Germano con la moglie Elena ma nelle retrovie si sta già formando la quinta generazione. Ad accoglierci troviamo Simona, un’amministrativa che si occupa anche dei clienti, simpatica e preparata ci accompagnerà nella visita e nella degustazione.

Immagini di Sergio Germano all’ingresso

Il profumo di mosto arriva pungente dal piano inferiore, la vendemmia è stata fatta solo un paio di settimane fa. Nella zona di affinamento dei vini sono presenti botti di dimensioni diverse, barrique, tonneaux e botti grandi che arrivano ai 2500 litri.

Interessante vedere alcuni campioni di terreno provenienti da quattro cru, danno immediatamente l’idea delle diversità che caratterizzeranno poi anche i vini. 

Campioni di suolo dei Cru di Cerretta, Prapò, Lazzarito e Vignarionda.

I suoli della zona di Barolo sono famosi per le marne, stratificazioni formatesi milioni di anni fa nel Miocene, quando qui c’era un mare. Il formarsi delle colline ha quindi mischiato i terreni creando infinite variabili di terreno. Da Germano, nel Cru Cerretta, si trova la marna di Sant’Agata (Tortoniano), il colore tende al grigio/blu, il terreno è calcareo/argilloso; il Cru Prapò è calcareo/argilloso con strati di arenaria; il Cru Lazzarito è calcareo con presenza di una vena ferrosa e di calcio; in Vignarionda è calcare marnoso.

La sala di degustazione di Ettore Germano

Ci spostiamo poi nella sala di degustazione al piano superiore da cui si ha accesso a una grande terrazza sulle vigne. Si potrebbe godere di un bel panorama sulle colline ma purtroppo il clima è tipicamente autunnale con quella nebbiolina mista a pioggia polverizzata.

Nell’ampia sala sono presenti le belle carte tridimensionali di Enogea e i due ‘vangeli’ delle MGA così si possono vedere e comprendere sia la posizione dei Cru che le altitudini e le esposizioni. 

Le mappe 3D del Barolo DOCG e di Serralunga d’Alba a destra

Nel frattempo Simona ha preparato i calici ed iniziamo la degustazione con uno spumante metodo classico da uve di Nebbiolo al 100%. Si chiama Rosanna (nome della madre di Sergio) ed è un extra brut, affina sui lieviti per circa 18 mesi. È molto fine ed elegante con un bel finale dolce. Bella sorpresa, avevo assaggiato altri spumanti da Nebbiolo ma nessuno mi aveva mai conquistato, questo sì. 

Il secondo assaggio è la Nascetta, tipico vitigno bianco piemontese, dimenticavo di dire che Sergio ha introdotto la coltivazione di uve bianche, i vigneti si trovano però in Alta Langa a Cigliè. Questa Nascetta è decisamente particolare per complessità aromatica, conserva una bella freschezza ed acquista sentori più minerali anche grazie all’affinamento in anfora. Altro assaggio il Binel (significa gemello in piemontese), un blend di 85% Chardonnay e 15% Riesling, piacevole anche questo con note burrose, morbide e fruttate tipiche dello Chardonnay ed arricchite dai sentori evolutivi tipici del Riesling.

A questo punto, dopo che avevo manifestato la mia curiosità su questo vitigno, Simona ci fa la sorpresa di farci assaggiare anche l’Hérzu 2011, Riesling 100%. Mi si allarga il sorriso, qui i sentori di idrocarburi danzano con il frutto in un contesto di acidità che mantiene la bocca pulita e pronta ad accogliere un nuovo sorso. Grande, potente, lunghissimo nella persistenza, peccato che le scorte siano finite e non si possa acquistare. Passiamo ai rossi iniziando da una Barbera d’Alba superiore ‘della Madre’ del 2016, si percepisce un bel frutto rosso maturo e le note di tostatura in legno (tonneaux per 1 anno), vaniglia, cacao. Anche qui l’acidità lo rende facilmente bevibile. Ed ora il Nebbiolo 2018, vinificato con una breve macerazione sulle bucce. Sorprende perchè mi aspettavo tutt’altro ed invece mi trovo a degustare un vino elegante, sottile, più vicino ad un rosé che a un nebbiolo strutturato. Piacevole proprio per la sua finezza, da riprovare come aperitivo.

Arriviamo ai Baroli, Prapò 2014, Cerretta 2014 e Lazzarito riserva 2012. Un crescendo di piacevolezza e complessità che rende pienamente l’idea di questo territorio di Serralunga. I legni sono usati sempre con discrezione e finalizzati ad armonizzare più che ad aggiungere aromi. Come affinamenti, il Prapò fa botte grande per due anni, risulta ancora fresco, tannico, complesso negli aromi di frutti rossi e neri e tostatura. Il Cerretta mi è sembrato più pronto, con un tannino più vellutato, affina due anni in tonneaux da 700 litri. Bel Barolo anche questo. Infine la riserva Lazzarito, il cru con le vigne più vecchie, circa 80 anni. Qui il piacere è tanto, se nei precedenti era l’austerità e la verticalità ad imporsi, qui sono la familiarità e la rotondità ad arrivarmi come un abbraccio. Le uve fanno una lunga macerazione di quasi due mesi e poi affina in botte grande quasi 3 anni e minimo due anni in bottiglia. Corpo ed eleganza rendono questo Barolo una vera eccellenza. Un ultimo sguardo alle colline sorseggiando nuovamente i Baroli rimasti nei calici e già mi spiace dover andar via. Bella visita e grazie di cuore a Simona per l’ospitalità e la simpatia. Complimenti a Sergio che anche se non ho potuto conoscere di persona mi ha trasmesso attraverso i suoi vini una personalità forte, legata alle tradizione quel che serve e aperta a nuove interpretazioni, penso al Langhe nebbiolo e allo Spumante rosé ma anche all’interessante via intrapresa con l’introduzione dell’anfora.

Luca Gonzato

Petite Arvine 2018, Grosjean

Con il ritorno del caldo ci voleva proprio un bianco di quelli che, come lame ghiacciate, ti rinfrescano il palato e lo spirito. La scelta è andata su un valdostano da uve autoctone di Petite Arvine. Un vitigno che amo particolarmente per la personalità unica che trasmette. Immagina un vino bianco, la montagna, l’aria pulita, i fiori in primavera e il fresco delle sere d’estate sopra i 1000 metri. Racconta molto di questa regione e della viticoltura eroica che la caratterizza. Il Petite Arvine è un vitigno che si adatta particolarmente bene al clima freddo di questa zona montuosa e che riesce a trasferire nel vino quella mineralità che sembra ricordare le pietre bagnate dai torrenti che scendono verso valle. 

Nel caso di Grosjean, ci troviamo in zona Quart (AO), nel vigneto Rovettaz, collocato a 550 m di altitudine con esposizione a sud. I suoli sono sabbiosi e calcarei. Nel calice si presenta brillante e profumato di fiori bianchi con sentori fragranti di frutti tropicali delicati ed agrumi. L’ingresso è fresco e minerale. Gli aromi fragranti persistono in bocca, una leggera sapidità accompagna un sorso sempre piacevole ed elegante. Apparentemente risulta ‘leggero’ e grazie alla sua acidità si beve con facilità, ma non lasciatevi ingannare perché è comunque un vino di corpo, con il 13,5% di volume alcolico. Il 30% di questo vino affina in barrique per 6 mesi e questo contribuisce al corpo oltre che a smussare gli angoli e donargli un eco di morbidezza burrosa. Idealmente è da servire freddo per apprezzare le sue doti fragranti, perfetto come aperitivo ma lo vedrei bene anche con un risotto ai formaggi. Il costo è leggermente sopra la media (sui 18/20€) ma giustificato dalle ‘fatiche’ della viticoltura nei pendii valdostani. Da provare.

Luca Gonzato

Albana Arcaica

Arcaica 2016 di Paolo Francesconi

La prima sorpresa di questa bottiglia di Albana, dall’Emilia Romagna (zona Faenza), è il tappo in vetro. Una rarità che però svolge il suo dovere in modo eccellente e presenta il vino dicendoti chiaramente “io sono diverso”. Infatti il colore è aranciato, luminoso. Poi profuma di miele, resina, agrumi. In bocca è di corpo, minerale, sapido. Avvolge con un frutto maturo, succoso, che mi ricorda il melone e il mango. È leggermente astringente e di buona acidità. Il volume alcolico è del 12,5%. Il nome Arcaica è sicuramente azzeccato perchè ti porta in luoghi lontani dalla consuetudine dei vini bianchi. La macerazione delle uve di Albana dura tre mesi, poi affina in acciaio per sei mesi ed infine in bottiglia. Il risultato è qualcosa di unico e di grande personalità. Forse non è un vino per tutti, nel senso che si esce dal comune e, come per un’opera d’arte, chi guarda reagisce in modo diverso. Penso ai quadri di Francis Bacon, io li adoro e sono amati da tante persone, ma altrettanti li trovano estremi e disturbanti. Sono quadri che entrano in profondità nell’animo umano, come questa Arcaica che risveglia sentimenti e ricordi. Senz’altro non lascia indifferenti. Più lo assaggio e più mi piace. Pensavo anche a cosa potrebbe starci bene in abbinamento, ovviamente i formaggi erborinati, oppure, se avessi uno chef a disposizione, lo proverei con lepre in salmì. È un vino biologico e biodinamico, il costo è sui 12€. La produzione di questo vino è di 3500 bottiglie, questa è la n. 2081. 

Luca Gonzato


Propizio all’estate

Iniziamo questa calda settimana con qualcosa di molto fresco, il Grechetto Propizio 2018 di Donato Giangirolami. Un bianco giovane e pimpante da uve Grechetto coltivate a Doganella di Ninfa nella zona di Cori. Siamo nel Lazio in provincia di Latina su suoli di argilla e tufo. Il produttore è l’Azienda Agricola Biologica Donato Giangirolami con sede a Borgo Montello (Lt). 

Bene, è nel calice, comunica profumi floreali, eleganti, ricordano le tisane, la camomilla, il biancospino, il miele. In bocca è fresco, minerale, sapido. Ha un bel corpo, snello ma muscoloso. In bocca ha sentori di ananas, pera. Il finale è lungo, citrino. Oltre al gusto molto piacevole ne apprezzo la ‘pulizia’, la finezza, e soprattutto la persistenza. Viene consigliato con carni bianche o formaggi a media stagionatura. Io lo proporrei tranquillamente come aperitivo o per una cena estiva con una tartare di pesce. Si sente che è sano, buono, lo bevi con facilità. Si trova a meno di 10€. Puoi anche portarlo a cena da amici facendo bella figura senza svenarti. Da servire fresco, sui 10 gradi. Certamente Propizio all’estate e, spero, ad una settimana non troppo faticosa.

Luca Gonzato

Timorasso ad Arte

Timorasso 2017, I Carpini. Splende dorato alla luce del sole. Delicati profumi di fiori bianchi fanno da apertura ad aromi molti intensi quando si ruota il calice. Acacia, fieno, miele. In bocca entra potente, pieno, rotondo, sapido. Intenso, ora si mischia con frutti a polpa gialla e agrumi, pesca, ananas, pompelmo, cedro… arriva infine una nota di pietra focaia sullo sfondo, un anticipo di quei sentori d’affinamento che con gli anni andranno ad arricchirlo. Beh, tanta roba, due in uno, penso al Riesling renano e agli Chardonnay di Chablis. Viva il Timorasso, vitigno 100% italiano, autoctono del Tortonese. Complimenti al produttore per questo bel vino che riesce a trasmettere una gran personalità. I sapori restano in bocca almeno una decina di secondi e la fresca acidità ti spinge ad un nuovo sorso. Immagino del pesce ad accompagnarlo, orate, branzini o un bel fritto misto. Bel vino, di quelli che ipoteticamente potrebbero stare nella top-ten ‘vini bianchi sotto i 10€’. Da non trascurare poi che è un vino ‘sano’ da agricoltura biologica, Vegan friendly. Fermentato con lieviti autoctoni e non filtrato. Un vino fatto ad Arte.

Luca Gonzato

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