Categoria: degustazione

Il Floc e l’Armagnac

Nel sud ovest della Francia, in visita al Domaine de Paguy a Betbezer d’Armagnac. Una tenuta storica del XVI secolo, di 12,5 ettari nel Bas-Armagnac, che insieme a Tenereze e Haut Armagnac formano il trittico produttivo del distillato di vino (acquavite) Armagnac. Probabilmente il distillato più antico al mondo, se ne hanno tracce storiche dal XII secolo.

Il Domaine de Paguy

Il Bas Armagnac è la zona migliore di produzione, nel Tenereze si hanno Armagnac più ‘duri’ e nell’Haut Armagnac sono pochi i produttori. Eauze è considerata la capitale dell’Armagnac.

La prima scoperta di questa bellissima zona, detta Nouvelle Aquitaine, ma conosciuta come Gascogne, è il Floc. Una bevanda da consumare nell’arco di un paio d’anni che è composta per due terzi dal succo d’uva non fermentato e per un terzo da Armagnac. Il Floc è la bevanda tipica dell’aperitivo, viene prodotta sia in bianco che in rosso. Nel rosso fanno capolino note di frutti rossi come la fragola mentre nel bianco prevalgono i sentori floreali e fruttati bianchi. Ha comunque una gradazione di 17 gradi ma servito fresco, soprattutto d’estate, è molto buono ed è davvero lontano dai vini tradizionali fortificati ed ossidati. Personalmente preferisco il bianco.

Le uve del Floc e dell’Armagnac sono l’Ugni Blanc (corrisponde all’italiano Trebbiano), il Folle Blanche, il Colombard e il tipico Baco. A François Baco si deve questo ibrido diventato tipico nella zona ed incrociato nei primi anni del 900 in cui la Fillossera mieteva specie vinicole in tutta europa. 

Per la produzione dell’Armagnac, dopo la fermentazione delle uve si passa ad una distillazione continua. Da 6 litri di vino si ottiene un litro di distillato. Per essere un vero Armagnac si superano i 40 gradi di volume alcolico.

Marianne, con passione, porta avanti la tradizione di famiglia

Al domaine de Paguy, dopo la distillazione, si passa all’affinamento nella ‘Chai’ (cantina) in botti da 530 litri di quercia francese chiamate ‘Piece’. Qui restano per due anni e due mesi, dopodiché fanno passaggi su botti sempre più vecchie che hanno sempre meno scambio d’aria con l’esterno.

A distanza di 10-15 anni vengono fatte le cuvée e l’imbottigliamento. Diciamo che finché il distillato resta nelle botti si arricchisce di aromi e si ammorbidice poi una volta imbottigliato non c’è più nessuna evoluzione. Quindi attenzione alla data di imbottigliamento perché magari vi viene venduta una bottiglia di 20 anni che però è stata imbottigliata 10 anni prima e non si è arricchita come una che all’opposto è rimasta fino a poco prima in botte. Ovviamente più è il tempo trascorso in legno e più il costo sale. C’è da considerare che soprattutto nel primo passaggio in botti nuove vi è una notevole ‘evaporazione’ e quindi perdita di contenuto, la cosiddetta ‘parte degli angeli’. Le pareti della bottaia di Paguy sono annerite proprio da questa parte sacrificata agli angeli.

Le pareti annerite dall’alcool evaporato

In degustazione ho assaggiato Armagnac di 10, 15 e 20 anni. È stato bello vedere come la complessità cambiava, in particolare tra 10 e 15 anni. Vaniglia, cacao, buccia d’arancia, albicocca passita, sono alcuni degli aromi che mi è parso di identificare. 

Alcune bottiglie d’epoca e vecchie damigiane, fanno da sfondo i numerosi titoli ricevuti

Come ci spiegano, per essere un buon Armagnac non deve bruciare in gola ma scaldare la bocca. È così, non sono un amante di super alcolici ma questo Armagnac mi ha convinto e conquistato al primo sorso. Caldo, complesso negli aromi, tanto da farti immaginare seduto in poltrona a sorseggiarlo d’inverno. Lo vedo come un potente anti stress in grado di svoltarti la serata.

Ho preferito il 15 anni, più rotondo e morbido rispetto al 20 anni, che paradossalmente era più imponente e duro. Il 10 anni era buono ma dopo aver assaggiato gli altri risultava troppo giovane ed aggressivo per il mio palato. 

A parte la degustazione, ho capito che quella dell’Armagnac è una tradizione magnifica, una passione che non ha poi un riscontro economico tale da compensare gli sforzi e l’immobilizzazione di un bene per così tanto tempo. Vi invito ad assaggiarlo e sostenere il consumo (moderato) di questo magnifico distillato della Gascogne. Poi se avete occasione di passare in Armagnac dovete assolutamente fermarvi in questo posto magnifico dove si può anche alloggiare. Marianne e la sua famiglia sono splendidi.

Luca Gonzato

Sfumature di Bordeaux

Le vigne fuori le mura di St Èmilion

Bordeaux, l’aerea vinicola più grande al mondo, il luogo dove alcuni dei vitigni più conosciuti trovano la loro massima espressione. Parlo di Merlot, di Cabernet Sauvignon e di Cabernet Franc. Ma non dimentichiamo i bianchi, in particolare il Sauvignon Blanc e il Semillon. Gli spumanti Crémant di Bordeaux e i vini dolci di Sauternes e Barsac. Un universo, quello di Bordeaux dove l’uva è al centro di ogni cosa.

Per dare un’idea delle dimensioni di questa zona vinicola, i numeri riportati sulla guida 2019-2020 dell’ufficio del turismo bordolese sono:

  • 645 Milioni di bottiglie commercializzate ogni anno
  • 20 bottiglie di Bordeaux vendute ogni secondo nel mondo
  • 123000 ettari di vigne
  • più di 5000 Château
  • 52 cantine cooperative
  • 4,4 milioni di visite ogni anno nelle cantine

Il mio tour inizia da una delle zone simbolo del Merlot, Saint-Emilion, nella parte nord ovest del Bordeaux, lungo il fiume Dordogne. La cittadina è un piccolo gioiello, quest’anno festeggia 20 anni dalla sua proclamazione di patrimonio mondiale Unesco.

Vicino alla cattedrale c’è la sede del consorzio viticoltori dove è possibile degustare e acquistare. Si susseguono i negozi di vino, sembrano boutique e fanno bella mostra di etichette altisonanti.

Fuori da uno di questi negozi era presente un display con le quotazioni delle bottiglie più rare e rinomate. Numerose anche le enoteche dove poter degustare. Intorno alla cittadina i vari ‘settori’ di vigne.

In questi giorni d’agosto c’è parecchia gente ed anche trovare da parcheggiare non è stato semplice però è sicuramente un posto dove fermarsi a fare una visita.

Vigne tra St Èmilion e Pomerol

La tentazione di vedere dove fossero quei famosi Chateau è stata troppo forte e sebbene non vi fosse possibilità di visitarli ho comunque voluto vedere dove si trovavano le vigne. Parlo di Pomerol, a nord di Saint-Emilion e degli Chateau Cheval Blanc e Petrus. Cantine leggendarie i cui vini arrivano a costare migliaia di euro a bottiglia.

Si respira nell’aria che ci si trova in luoghi particolari, tutto è molto curato e le vigne tenute come giardini, vige una ricerca assoluta di qualità.

Gli Château si susseguono su ogni strada percorribile di questa zona, la tentazione di fermarsi è incessante.

La Dordogne a Libourne

Spostandosi a Libourne ho potuto vedere da vicino il fiume Dordogne, marrone, limoso. Ha percorso centinaia di chilometri dal Massiccio centrale a qui, superando foreste immense e portando con sé un patrimonio di sostanze minerali che andranno ad arricchire il suolo bordolese.


Vigne nella zona di Entre-deux-Mers

Tra i due fiumi, Dordogne e Garonne c’è la Aoc di Entre-deux-Mers, qui i terreni sono più sciolti, limosi e sabbiosi, dominano i vitigni bianchi di Sauvignon Blanc, Sémillon e Muscadelle.

L’Abbazia di La Sauve-Majeure

Vale la visita l’imponente struttura dell’Abbazia di La Sauve-Majeure. All’ingresso è anche presente la “Maison des vins”, enoteca dove si possono fare degustazioni e acquistare vini a buon prezzo.

Passiamo ora alla visita di uno château nella Aoc di Fronsac. Tra le centinaia di château che avrei potuto visitare, ne ho scelto uno che è certificato sia biologico che biodinamico. Lo Château De La Dauphine.

Lo Chateau de la Dauphine, ora residenza di vacanze della famiglia Labrune, proprietari.

È uno storico Château, costruito nel 1750 dove è passata Marie-Josèphe De Saxe, detta la Dauphine (delfina) di Francia (moglie di Luigi Ferdinando di Francia ‘il Delfino’, figlio di Luigi XV) madre degli ultimi re di Francia tra cui Luigi XVI. La sosta qui, di qualche giorno della Dauphine, ha dato il nome alla proprietà. Il castello è passato di mano varie volte e durante la seconda guerra mondiale, occupato dai tedeschi, è stato completamente svuotato e ne sono andate perse tutte le bottiglie storiche. Nel 1985, François-Régis Marcettau of Brem vendette La Dauphine alla famiglia Moueix di Libourne (Château Petrus, Château Trotanoy e Château Magdeleine). Nel 2000, Jean HAalley, ex leader e co-fondatore del Gruppo Promodes (Carrefour) l’acquistò. A lui e a suo figlio si devono i grandi investimenti volti a migliorare la qualità della produzione e il valore della tenuta. Nel 2015 la tenuta è stata venduta alla famiglia Labrune, fondatrice di Cegedim, una società che opera nel mondo della sanità.

Una parte di vigna, a Merlot, di fronte alla cantina. In fondo, dietro le case e gli alberi, passa la Dordogne.

È del 2015 il primo millesimo certificato biodinamico. Gli ettari coltivati totali sono 53, con uve prevalentemente di Merlot e in percentuale minore di Cabernet Franc. I terreni della proprietà sono molto diversi tra loro, si va da quelli ricchi di sabbia e limo, che si trovano molto vicini al corso del fiume (Dordogna), a quelli prevalentemente d’argilla e calcaree della côte (costa della collina).

Grappoli di Merlot nella fase dell’invaiatura

Come ogni viticoltore biodinamico, anche alla Dauphine i trattamenti sono limitati a rame e zolfo oltre che a nebulizzazioni di tisane naturali a seconda della necessità e del periodo vegetativo. Certo che, come ci spiegano, in questa zona umida e dove le piogge sono frequenti, è dura operare in biodinamica ed infatti non sono tanti i produttori biologici e ancora meno quelli biodinamici. La Cantina è spettacolare, una struttura circolare ‘a caduta’ la prima nel Bordeaux. Al centro arrivano le uve (raccolte a mano in cassette), vengono diraspate per poi passare su una griglia dove gli acini più piccoli (non maturi e troppo acidi) cadono e vengono scartati. Attraverso un nastro trasportatore si passa ad una controllo manuale dove 5/6 persone tolgono gli acini marci o altro materiale che può trovarsi tra i chicchi. A questo punto vanno in macerazione per 3/4 settimane in vasche di cemento con frequenti follature e rimontaggi. La fermentazione avviene con lieviti naturali, quelli presenti sulle bucce. Dopo la svinatura si procede al passaggio delle bucce nelle pressa centrale del piano inferiore della cantina da cui si potrà prendere, se necessario, una piccola parte da aggiungere alla cuvée per mettere la firma Dauphine al vino.

Tutte le parcelle vengono vinificate separatamente e solo alla fine si procede all’assemblaggio. L’affinamento avviene in barrique con 1, 2 o 3 anni d’età e realizzate da diversi produttori. Ne ho viste di almeno tre tipi dove la differenza è il grado di tostatura oltre che la provenienza dei legni. L’impressione è che Dauphine potrebbe produrre un sacco di etichette tra le sue 200.000 bottiglie totali. Magari di ogni Cru ed invece sono solo tre i vini che realizza. Un rosato, Château de La Dauphine Rosé, fresco e semplice da bere, blend di Merlot 80% e Cabernet Franc 20%. Poi un rosso, Merlot 100%, il Delphis de La Dauphine, fruttato e beverino (parlo comunque di un gran Merlot) proveniente dalle vigne più vicine al fiume ed infine, il Top di questa cantina, lo Château de La Dauphine, Merlot 90% e Cabernet Franc 10%, dalle vigne più strutturate che si trovano in collina.

L’affinamento in barrique è di un anno. È un vino molto equilibrato, succoso di frutti rossi e ricco di aromi che vanno dalla vaniglia al cacao fino all’humus e al cuoio. Elegante e persistente, trasmette sontuosità e ampiezza. Costo sui sui 25€. 

Le Canelés de Bordeaux

Una nota finale, a riguardo della vinificazione, tipica di Bordeaux, è l’utilizzo del bianco d’uovo per la filtrazione (il bianco scende verso il basso portando con sé le impurità e le parti solide). A questa pratica si è aggiunta la necessità di sfruttare la parte rossa dell’uovo, il tuorlo, che insieme agli aromi di rum e vaniglia, danno origine al dolce tipico di questa zona, le Canelés de Bordeaux. Ottimo.

La Dordogne nei pressi di Fronsac

Passiamo da Bordeaux, gran bella città con la sua cattedrale, la torre dell’orologio e gli edifici storici.  Si affaccia sul fiume Garonne che è ancora più grande della Dordogne.

La Garonne a Bordeaux

Seguendo il corso del fiume, si arriva alla Cité du Vin, il monumentale museo del vino la cui forma ricorda un enorme decanter.

Dopo una sosta e un giro tra le vie delle città prendiamo la direzione Medoc, meta Pauillac. Nel tragitto c’è il tempo per prenotare la visita ad uno Château di Margaux, non quello più famoso ma comunque il quinto dei Grand Cru classé del 1855, Château Dauzac. Lo raggiungiamo nel pomeriggio, ripercorrendo un pezzo di strada all’indietro ma sulla parte interna, più vicina al fiume.

Si susseguono le vigne e le indicazioni degli Château. A Margaux si uniscono i fiumi Dordogne e Garonne dando vita alla Gironde che sboccherà poi sull’Oceano. Le vigne sono basse, l’orizzonte si allunga e il cielo costellato da piccole nuvolette bianche sembra di poterlo toccare. Qui il Cabernet Sauvignon trova il terreno migliore, una stratificazione di sassi, sabbia e argilla. Materiali trasportati e sedimentati da millenni. 

Château Dauzac è una tenuta di circa 49 ettari, la sede è un gioiello di eleganza e sostenibilità. Il castello, i prati ben curati e i laghetti, la cantina perfetta ed immacolata. La storia è lunghissima, accenno solo che inizia nel 1190 quando il più anziano proprietario di Margaux nel settore vinicolo riceve i terreni da Riccardo 1° (cuor di leone), re d’Inghilterra, conte dei Poitiers, duca di Aquitania, conte di Maine e di Anjou. Nel 1685 il commerciante di vini di Bordeaux, Pierre Druillard, tesoriere di Francia fece diventare i vigneti tra i più belli di Francia. Nel 1700 il Domaine passa al nipote, Jean-Baptiste-Lynch, sindaco di Bordeaux per grazia di Napoleone. Nel 1863, Johnston, proprietario anche di Ducru-Baucaillou crea la prima etichetta gialla. Il direttore della proprietà, Ernest David, sviluppa la famosa ‘poltiglia bordolese’ (fungicida a base di rame), che ha salvato i vigneti dalla rovina e probabilmente la viticoltura mondiale. Nel 1955 la proprietà viene acquistata dal Sig. Bernat, proprietario di Glacierès Bernat. È sua l’idea di introdurre del ghiaccio nelle vasche durante la fermentazione, realizzando così i primi passi della termoregolazione. Nel 1989, dopo il passaggio di Miailhe e Chatellier, il MAIF (società assicurativa francese) prende il castello diventandone l’unico proprietario fino ad oggi.

I vigneti Dauzac sono coltivati per il 30% a Merlot e il restante 70% a Cabernet Sauvignon. Le vigne storiche sono nei terreni più elevati. Un detto della zona è che “i migliori Château devono vedere il fiume”. Qui c’è tutto, terreno stratificato; esposizione ottimale; vista e vicinanza del fiume che porta con sé le correnti d’aria atlantiche. La Cantina è moderna e pulitissima. Spettacolari le botti tronco coniche che possiedono solo loro e Château Petrus. Una nota interessante è quella relativa all’utilizzo di una proteina vegetale derivata dalla patata per la chiarificazione del vino al posto del bianco d’uovo. Questa soluzione conferisce al vino la qualifica di Vino Vegano. Le barrique d’affinamento sono fornite da sei diverse tonnellerie, in parte nuove o al massimo di 2-3 anni. Anche qui sono solo tre i vini prodotti.

In degustazione Labastide Dauzac 2015, cuvée di Cabernet Sauvignon 32% e Merlot 68%. Solo acciaio per questo vino potente ma ancora tannico. L’Aurore de Dauzac 2014 è invece composta dal 70% di Cabernet Sauvignon e 30% da Merlot. Più semplice da bere con un bel frutto fragrante. Il terzo vino è quello che aspettavo di assaggiare, lo Château Dauzac 2016, 68% di Cabernet Sauvignon e 32% Merlot, affinato in barrique nuove per il 68%. Ottimo, starei qui a sorseggiarmene una bottiglia intera. Bel frutto, armonia, rotondità, lunghezza aromatica. Immagino quanto possano essere migliori le bottiglie delle annate precedenti. Questo 2016 è ottimo ma la sensazione è che abbia ancora necessità di qualche anno per arrotondarsi ancora di più e mostrare tutta la sua potenzialità.

Purtroppo una bottiglia come questa costa sui 50€ e se si va alle annate precedenti le cifre praticamente raddoppiano di anno in anno. Da non dimenticare che questi vini sono ricchi di polifenoli, tannini e acidità che gli consentono un lungo invecchiamento. Vini che iniziano ad esprimere il loro meglio dopo almeno cinque anni. Del resto anche al nostro amato Barolo servono anni per indossare il miglior vestito.

La Gironde a Pauillac

Altra tappa in questa zona è Paulliac, sulla Gironde, bella cittadina che si affaccia sul fiume. È un’altra denominazione famosa, posta tra quella di St-Julien-Beychevelle e quella di St Estèphe, ci si trova comunque nell’ampia zona dell’Haut Medoc. Delle grosse bottiglie svettano come fari all’inizio dei pontili che danno accesso al porticciolo. Le acque della Gironda sono fangose e per niente rassicuranti. Immagino i vascelli che risalivano il fiume per arrivare a Bordeaux, quanta storia è passata da qui. La cittadina sembra aver vissuto un periodo di splendore che ora è però solo un ricordo. Sono pochi i turisti che passano da Paulliac. 

Intorno è tutto un susseguirsi di Château e di vigne. Ripenso a St Emilion, i chilometri percorsi tra le colline e i boschi, i tanti laghetti, i villaggi, i grandi fiumi e le foreste. Al centro le vigne, un terroir incredibile dove per poter cogliere tutte le sfumature delle diverse zone, che si riflettono nei vini, ci vorrebbero probabilmente degli anni. Per ora un piccolo assaggio ed un tassello in più nella comprensione di questa zona vinicola.

Luca Gonzato

L’oro di Sauternes

A Sauternes, nelle Graves, la famosa zona di produzione di vini botritizzati (da Botrytis Cinerea, muffa nobile). Circa 2000 ettari di vigneti a sud di Bordeaux. Da qui il vino reso celebre da Riccardo Cuor di Leone nel XII secolo. Un vino mitico tutto da scoprire.

Si caratterizza per un colore dorato brillante che vira all’ambra dopo anni di affinamento, ha una dolcezza equilibrata dall’acidità che lo mantiene fresco e bevibile. Gli aromi sono complessi e generalmente vanno dall’albicocca alla pesca gialla, dal miele alle resine fino a note di frutti canditi e pasticceria. Più passano gli anni e più si ammorbidisce arricchendosi di aromi.

Un vigneto del Sauternes

Il vitigno principe è il Semillon ma possono concorrere in minima parte, se serve avere più acidità ad equilibrare la dolcezza, il Sauvignon Blanc che arricchisce anche gli aromi e il Muscadelle.

Una parcella di Château Sigalas

A rendere il terroir di Sauternes unico concorrono la vicinanza del fiume Garonne con le sue correnti d’aria; l’umidità della zona e le acque fredde del Ciron (affluente della Garonne che scorre tra Barsac e Sauternes). Notevole l’escursione termica dalla notte al giorno. Se non fosse per l’esposizione e il sole rovente del pomeriggio, le muffe diverrebbero marciume. Poco distante inizia anche l’enorme triangolo di foresta che arriva fino all’oceano. I terreni sono un mix di calcare, argilla e sassi, ci sono poi delle sabbie rosse nella zona di Barsac.

Immagini di muffa nobile dalla cantina Château Sigalas

Le uve da cui si ottiene il Sauternes, maturano e appassiscono sulla pianta ricoperte dalla botrite. In questa fase gli zuccheri si concentrano all’interno degli acini. All’esterno, il fungo della botrite resta asciutto, ‘arrostito’ dal sole. La vendemmia avviene verso fine ottobre, viene fatta a mano e in momenti diversi a seconda del grado di maturazione delle diverse parcelle.

I torchi di Château Sigalas

La pressatura è fatta con speciali torchi, devono sviluppare una grande pressione per estrarre quel nettare così prezioso, ricco di zuccheri e aromi. Si avvia poi la fermentazione e il passaggio in barrique scolme dove la ‘flor’ che si forma in superficie viene immersa frequentemente per estrarre tutti gli aromi. L’affinamento è di minimo due anni e le barrique solitamente sono nuove o di secondo e terzo passaggio come da tradizione nella regione di Bordeaux.

Il paese di Sauterners è microscopico ma il fascino di questo terroir è enorme. In piazza si trova la Maison du Sauternes, vale la sosta sia per l’opportunità che offre di degustare gratuitamente, tra una cinquantina di produttori, che per la possibilità di acquistare a cifre di cantina.

Ho assaggiato dei Sauternes di zone di cui non avevo mai assaggiato niente, cioè Barsac (i primi due nella foto) e Bommes (il terzo). Château La Tour Blanche 2009 è spettacolare per complessità ed armonia, però costava il triplo rispetto agli altri. Château Lamothe 2010 è risultato il più semplice ed anche il più economico. Château Caillou 2008, che ho poi acquistato, ha tutte le caratteristiche del gran Sauternes senza diventare esageratamente opulento, mantiene un bel grado di acidità e il costo di 25€ circa è accettabile.

Sulla strada per Sauternes ho prenotato via email la visita ad una cantina, non il famoso Château d’Yquem, unico Premier Cru Supérior della zona, ma in un castello vicino, Château Sigalas Rabaud, Premier Cru Classé del 1855.

Château Sigalas Rabaud, con i suoi 14 ettari è il più piccolo dei Premier Cru Classé. Ho visitato la vigna, la residenza, ora utilizzata per gli ospiti, la cantina e la barricaia dove infine, nel locale attiguo, ho fatto la degustazione di 5 vini.

Il primo vino assaggiato, “La Demoiselle de Sigalas”, è un bianco secco, annata 2014, composto all’85% da Semillon e restante 15% di Sauvignon Blanc. Bel vino da aperitivo fresco con aromi floreali. Il secondo è un’altro secco “La Sémillante de Sigalas” 2014, Semillon 100%, presenta note di agrumi, resina e miele.

Il terzo vino, il “5” deve il nome al fatto d’essere stato il quinto vino creato dalla cantina, ma è anche un riferimento al famoso profumo Chanel 5. In effetti troverai estremamente attraente una donna con due gocce di Sauternes sul collo. Il 5 è molto interessante perché si posiziona esattamente a metà tra i secchi e i dolci. Floreale, cambia in bocca sul fruttato. Bella acidità e leggero grado zuccherino. 95% Semillon e 5% Sauvignon blanc. Ed ora, il top, “Château Sigalas Rabaud”, anche per questi il Semillon concorre per il 95/97% e il rimanente è un tocco di Sauvignon Blanc. Il 2015 ha complessità di fiori, erbe, frutta fresca. Lo trovo fantastico per l’equilibrio e la ricchezza che esprime. Il 2006 è ‘regale’, opulento, frutta candita e secca, spiccata dolcezza, pastoso. Entrambi in vendita a 38/39€. Ho scelto il 2015. Un ultimo sguardo alle vigne e la promessa di tornarci.

Spero d’aver fatto venir voglia di assaggiare un Sauternes, se è così, i consigli per degustarlo al meglio sono: temperatura di 8-10° (alla Maison consigliano di metterlo in frigorifero 3 settimane prima), servito in piccoli calici. Come aperitivo, può essere servito con un paio di cubetti di ghiaccio e qualche goccia di limone. Come antipasto con prosciutto crudo e melone. L’abbinamento classico è con il Foie Gras (paté di fegato d’oca), di cui i francesi vanno ghiotti, oppure con i ‘Bleu’, i formaggi erborinati tipo Roquefort, Gorgonzola ecc. ed in generale con i formaggi di capra in cui sia crea un bel contrasto con le note dolci del Sauternes. Infine con i dolci, ad esempio un cioccolato fondente oppure con una macedonia di frutta. Praticamente è buono in ogni occasione. Il Sauternes è famoso nella sua versione dolce ma l’uva di Semillon, come avete visto nel paragrafo di degustazione allo Château Sigalas viene vinificata anche in vino secco o con un grado zuccherino inferiore. In questo caso la vinificazione è in acciaio e non viene fatto nessun passaggio in legno.

Luca Gonzato

Buonissimo compleanno

Per i suoi 54 anni, l’Associazione Italiana Sommelier, delegazione di Milano, ha organizzato un banco di degustazione strepitoso, con oltre 100 cantine italiane. Un regalo davvero apprezzato da tutti i soci. Non pensavo che ne avrei scritto un post ma alcuni dei vini erano così buoni che me ne sono innamorato e voglio farveli conoscere.

SPUMANTI

Lombardia, Franciacorta Brut Millesimo 2013 Freccianera dei  Fratelli Berlucchi. L’uvaggio è 80% Chardonnay, 10% Pinot bianco, 10% Pinot Nero. Affina 55 mesi sui lieviti. Il costo è sui 22€. L’ho trovato ‘magico’. Grande armonia e lunghezza in questo spumante per le grandi occasioni.

Lombardia, Franciacorta Brut Nature, Mosnel, 24 mesi sui lieviti, Chardonnay 70%, Pinot Bianco 20%, Pinot nero 10%. Altro grande Franciacorta che sorprende sempre per la personalità che esprime. Affinamento 24 mesi. Costo sui 20€. Il biglietto da visita da presentare a casa degli amici.

BIANCHI

Dal Friuli Venezia Giulia la Malvasia istriana Soluna 2017 di Livon. Malvasia istriana 100%. Costo sui 15€. Una malvasia senza compromessi, piace oppure no. Io l’ho trovata fantastica. Le uve appassiscono una decina di giorni, macerazione a freddo e fermentazione in acciaio. Costo sui 15€. Rock n’ Roll.

Dall’Alto Adige il Manna 2017 di Franz Haas. Da 5 tipi di uve vinificate separatamente e poi assemblate. Riesling Renano 40%, Chardonnay 20%, Gewurztraminer 15%, Kerner 15%, Sauvignon 10%. Il costo è sui 20€. Una sinfonia di aromi. Lo vedrei bene in una cena romantica, magari al primo appuntamento. Un vino che conquista. 

Dalla Campania, il Greco di Tufo Giallo d’Arles 2018 di Quintodecimo. Uve Greco 100%. Ennesima conferma da questo bianco tra i miei preferiti. Bello assaggiarlo adesso, ancora giovane, ed apprezzarne la fragranza del frutto. Costo sui 35€. Una garanzia di bontà.

ROSATI

Dall’Abruzzo, il Cerasuolo d’Abruzzo Villa Gemma 2018 di Masciarelli. Uve Montepulciano 100%. Costo sui 10€. Mi è piaciuto un sacco trovare le caratteristiche del Montepulciano in una forma così delicata e godibile. 

Dalla Puglia il rosé 2018 Girofle di Severino Garofano. Uve Negramaro 100%. Costo anche lui sui 10€. Piccoli frutti rossi e melograno che danzano nel palato.

ROSSI

Il miglior vino in assoluto assaggiato oggi: Tenuta Sette Ponti Vigna dell’Impero, bottiglia numero 03230/12688. Un Sangiovese in purezza da vigne di oltre 80 anni. La tenuta si trova in Valdarno. La Vigna dell’Impero risale al 1935, fu fatta piantare da S.A.R. Emanuele Filiberto di Savoia Conte di Torino, su richiesta del cugino S.A.R. Amedeo d’Aosta, Vice Re d’Etiopia, per festeggiare e ricordare la vittoria italiana in Abissinia. Sono 3 ettari a terrazzamenti interamente costruiti a mano. Il vino è un concentrato di tutto quello che si può desiderare in un rosso. Armonia, corpo, tannini vellutati, ampio bouquet aromatico, piacevolezza e persistenza. Affina due anni in botte grande. Epico. Online il costo di questa bottiglia è sugli 85€, è così buono che non mi sento di dire che costa troppo.

Sempre dalla Toscana e sempre Sangiovese, il Brunello di Montalcino 2012, Tenuta Col d’Orcia. Affina in barrique per 4 anni. Costo sui 30€. Il rosso da mettere in tavola con una gigantesca fiorentina.

Dall’alto Piemonte, nel Novarese, il Boca 2015 Le Piane. Uvaggio di Nebbiolo 85% e Vespolina 15%. Affina 36-48 mesi in botte grande. costo sui 50€. Ventaglio aromatico strepitoso. Adorabile sotto ogni punto di vista.

Sempre in Piemonte, da uve Nebbiolo al 100% il Barolo Ravera 2011 di Cogno. Affina 24 mesi in botte grande. Costo 50/60€. Un Barolo che all’austerità preferisce l’eleganza, gran corpo ed armonia.

Dalla Basilicata un grande Aglianico del Vulture Superiore, della casa vinicola Armando Martino. Da uve 100% Aglianico del Vulture. Affina circa un anno in barrique e almeno un’altro in bottiglia. Il costo si aggira sui 35€. Anche questo grandioso nella parte aromatica, eccellente.

È sempre bello festeggiare i compleanni, soprattutto quelli degli altri. 

Grazie Ais e grazie ai produttori!

Luca Gonzato

Chenin Blanc lover

Ci sono due vini bianchi fermi che amo particolarmente per l’estate. Uno è il Petite Arvine, tipico della Valle d’Aosta, e l’altro è lo Chenin Blanc, vitigno francese che si trova anche in Sudafrica ma il suo terroir d’eccellenza è la Loira. La bottiglia che vi presento arriva proprio dalla Valle della Loira, da Anjou. Si tratta del Les Quarterons Blanc 2016 del Domaine Amirault. Vino biologico certificato e biodinamico da uve di Chenin Blanc al 100%. Ha un bouquet olfattivo davvero ricco con note evolutive interessanti. Fiori di campo, agrumi, camomilla, albicocca, mandorla. In bocca si confermano gran parte dei profumi e si percepisce una pesca gialla polposa. Il finale è fresco, lungo, riporta gli agrumi, la scorza di limone. L’acidità rende questo vino godibilissimo. Uno Chenin di corpo con profumi delicati ed eleganti. Il volume alcolico è del 13%. È davvero buono. Senza dubbio ne vorrei avere una cassa sempre disponibile in queste serate afose. Perfetto ad accompagnare un aperitivo/cena che tradotto vuol dire: tirate fuori quello che avete in frigo, trasferitevi in terrazza o in cortile e godetevi la serata con questo Chenin Blanc. 

Ps. per essere un vino bio/dinamico fermentato con lieviti autoctoni è davvero ‘figo’, elegante. Nessun profumo anomalo che spesso accompagna i vini “naturali“. Obbligatorio il secchiello con il ghiaccio per mantenerlo fresco e gustarselo fino all’ultima goccia.

Luca Gonzato

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