Dipende che Vino

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Il futuro del vino è PIWI?

Parlando di vini, PIWI è una parola che per molti suonerà come nuova, ma sono certo che entrerà presto nel lessico comune dei consumatori. Arriva dal tedesco ‘pilzwiderstandfähig’ e significa ‘viti resistenti ai funghi’. Per funghi si intendono le malattie che possono colpire la vite e che necessitano interventi di tipo biologico, ad esempio di rame e zolfo o con prodotti di sintesi in ambito convenzionale. Nei PIWI non è necessario nessun trattamento, ci troviamo quindi di fronte a dei vini ‘super-bio’ dove il rispetto del suolo e la produzione di un vino completamente naturale sono al più alto livello raggiunto. Sono oltre vent’anni che si sperimentano incroci di varietà per ottenere piante in grado di resistere alle malattie e allo stesso tempo capaci di produrre uve di qualità adatte alla vinificazione. Mentre in altri paesi Europei questi vitigni sono ammessi alla produzione da tempo (anche perché resistono in zone dal clima più freddo ed a altitudini più elevate), in Italia sono ancora poche le varietà ammesse nel registro nazionale delle uve e le regioni si muovono autonomamente nel concedere la possibilità di produzione. Da una parte c’è una spinta all’innovazione e dall’altra uno spirito conservativo volto a proteggere le varietà tipiche. I vini da uve PIWI sono il massimo del ‘naturale’ ma hanno anche nel loro dna il massimo dell’innovazione, tutto è stato sperimentato e selezionato al fine di ottenere risultati ottimali, compreso l’utilizzo di lieviti selezionati. L’aspetto interessante per il consumatore è la possibilità di avvicinarsi ad una nuova tipologia di vini assolutamente sani e percepire profumi e sapori diversi da quelli finora conosciuti. 

Nell’ambito della manifestazione Vinissimo 2019 svoltasi a Biassono (MB) ho avuto la possibilità di assaggiare numerosi vini Piwi, in particolare segnalo la bontà dei prodotti della Cantina Nove Lune di Alessandro Sala situata a Cenate Sopra (BG). Alessandro è il punto di riferimento della zona, sia come Presidente dell’associazione Piwi Lombardia che come esperto conoscitore dell’argomento. I suoi vini sono lo specchio di una personalità poliedrica attenta all’innovazione e al cambiamento climatico.  Heh, è un vino frizzante col fondo, dalla varietà Piwi probabilmente più conosciuta, la Solaris. Ha sentori di frutta fresca come mela e pesca, fresco e leggero si fa bere con grandissima facilità. Un vino che che nelle calde giornate estive può tranquillamente sostituire la classica birretta rinfrescante. 310 è invece un bianco fermo composto dalle varietà Solaris 40%, Bronner 30% e Johanniter 30%, qui prevalgono note floreali di sambuco e biancospino e fruttate più intense. Rukh è un Orange wine, macerato ed affinato in anfora. Le varietà utilizzate sono Bronner 50% e Johanniter 50%. In questo vino fanno breccia i profumi di piccoli frutti di bosco e agrumati. L’ultimo assaggio è stato del vino passito Theia, ‘tanta roba’, davvero un caleidoscopio di profumi che vanno dall’albicocca ai frutti disidratati, il miele, l’incenso. Lunghissimo nella persistenza, si adatta sia ad accompagnare i dolci che ad esempio i formaggi erborinati. Io però ne consiglierei la degustazione da solo, possibilmente in compagnia di una persona che amate. Le varietà Piwi utilizzate in questo passito sono: Helios 40%, Solaris 40%, Bronner 20%.

Altra bella realtà è quella della cantina Ceste di Govone (CN), che oltre a produrre le tipiche varietà piemontesi ha impiantato mezzo ettaro di varietà Piwi da cui ottiene un grande vino che ricorda i migliori Riesling Renani. Il suo Ratio, da uve Bronner e Johanniter (incrocio di Riesling con altre varietà), è stato premiato agli International Piwi Wine Award con l’Oro nel 2018 e l’argento nel 2016. Grande freschezza e piacevolezza gustativa nel  2018, aromi di campo, pesca gialla. Nel 2016 si aggiungono i sentori tipici del Riesling in evoluzione a ricordare gli idrocarburi. Entrambi colpiscono per la grande eleganza che esprimono in bocca. Un vino dal rapporto qualità/prezzo eccellente. Interessante anche la vinificazione del Solaris in Spumante che ha fatto Filanda de Boron di Tiene di Trento (TN) nel loro Lauro extra dry. Una bella e ricca bollicina. Buono anche il loro bianco Dedit affinato in botti d’acacia dove le note di frutta gialla matura vanno a braccetto con i lievi sentori di acacia. Rotondo e di corpo conquista il cuore.

Non lo so se il futuro dei vini è PIWI, quello che so è che quelli assaggiati mi sono piaciuti molto e mi hanno conquistato con il loro corredo aromatico inedito e la grande eleganza che hanno saputo esprimere. Sono certo che sempre più popoleranno le nostre tavole.

Luca Gonzato

Viva le streghe

Si aprono i dehors dei locali o più semplicemente le terrazze di casa e si inizia a degustare vini freschi all’aperto. Quello che vi presento è perfetto per un aperitivo, servito sugli 8°, o per una cena leggera, ad esempio a base di mozzarella di bufala, oppure ad accompagnare una frittura di pesce. Si tratta di un vino bianco da uve di Falanghina, del Sannio Beneventano, cioè la zona est della Campania, quella incastonata tra Molise, Puglia e Basilicata e che non è bagnata dal mare. Una zona vocata alla coltivazione della vite e patria di altri eccellenti vini come l’Aglianico, il Greco ecc. Questa Falanghina è stata prodotta dalla Cooperativa Agricola La Guardiense con l’ausilio di un Enologo di fama internazionale, Riccardo Cotarella. Si chiama Janare Senete 2017. Janare significa ‘streghe’ nel Beneventano. Si presenta con un ricco e potente corredo aromatico, di fiori bianchi che mi fanno pensare a quelli d’arancio e a frutti maturi come la pesca gialla e l’ananas. I profumi sono fragranti, invitanti. Bello l’impatto. Avevo un ricordo molto diverso di altre Falanghine assaggiate, decisamente più sottili e anonime. Questa invece ha personalità. Ha grande freschezza (acidità) e una sapidità davvero piacevole. Risulta ben equilibrata con le morbidezze, il volume alcolico è del 13,5%. Rotonda nella sensazione in bocca e complessivamente con un bel corpo. Il finale è agrumato, fresco, con una buona persistenza. Ha un carattere deciso ed elegante. Bella Falanghina, tra i 7 e i 9€. 

Luca Gonzato

La Tintilia di Vinica

Dovevo scrivere qualcosa sulla giornata passata in Oltrepò Pavese, in una cantina specializzata in vini da uve di Croatina e Bonarda, poi però a cena avevo voglia di un rosso bello fermo e corposo, eccomi così a stappare una Tintilia. La conosci?, è un vitigno (rosso) autoctono del Molise. L’azienda agricola Vinica di Ripalimosani (CB) vinifica la Tintilia in purezza nel suo ‘Lame del Sorbo’. L’annata in questione è la 2013. Ho assaggiato questo vino in varie occasioni e si è guadagnato una speciale classificazione tra i miei preferiti, cioè quella del ‘vai sul sicuro”, questo per dire che dopo certi vini mossi avevo bisogno di una buona certezza. La bottiglia ha il tappo a vite, non è tanto bello da vedere ma è funzionale. Ha sei anni di affinamento ma esprime ancora un bel frutto rosso fragrante. La cosa che preferisco sono le note aromatiche che mi ricordano il timo, il sottobosco, il pepe bianco, la macchia mediterranea. È equilibrato nelle componenti alcoliche (13,5%) e di acidità/tannini. È un buon vino che si può apprezzare a tavola con numerose portate. Lo vorrei provare con un piatto di cavatelli al sugo oppure azzarderei un piatto distante 1000 km come le scaloppine alla valdostana. Non vi dico con cosa l’ho abbinato perchè era totalmente sbilanciato verso il vino ma del resto era lui che volevo gustare 🤣. Si trova sui 13€. Da provare e riprovare senza indugi.

Luca Gonzato

Vini Vintage, Barbaresco Contratto 1974

Barbaresco 1974 – Giuseppe Contratto

Cantina storica, fondata da Giuseppe Contratto nel 1867, conosciuto come primo produttore di spumanti in Italia nonché fornitore del Vaticano e della Casa Reale. Le cantine storiche sono scavate nel tufo calcareo della collina che protegge la cittadina di Canelli ed occupano più di 5000 mq. Un lungo elenco di riconoscimenti e medaglie segnano la storia di questa Cantina delle Langhe. Nel 1993 viene acquisita dal noto produttore di grappe Carlo Bocchino e la produzione si sposta dagli Spumanti ai vini fermi. Nel 2011 Giorgio Rivetti di La Spinetta rileva Contratto e riporta in primo piano la produzione di Spumanti metodo classico. Anche se è superfluo, voglio ricordare che i Barbaresco di La Spinetta sono in assoluto tra i migliori sul mercato. 

Torniamo però a questa bottiglia con 45 anni di affinamento. Confesso d’essere emozionato, in qualche occasione ho assaggiato vini con età simili e non sempre s’è trovato del ‘buono’. Confido nelle uve di Nebbiolo e nella carica di tannini, acidità ed alcool che possano averlo preservato. L’annata 1974 viene ricordata come ottima, per aver dato vita ad un Barbaresco ‘maestoso’’ (fonte, LoveLanghe: http://langhe.net/2086/  ).

Vediamo un po’

Alla stappatura il tappo si è spezzato a metà ma è stato comunque estratto senza lasciare residui, non presenta odori sgradevoli. Ho usato il decanter per lasciare eventuali residui nella bottiglia e farlo arieggiare un paio d’ore prima di assaggiarlo. Il vol. alcolico dichiarato in etichetta è del 13%. Il colore è rosso granato con un’unghia aranciata. Per l’età e la tipologia d’uva trovo che abbia mantenuto molto bene il colore. Il profumo che balza al naso (e che speravo di trovare) è quello di ‘goudron’ cioè di catrame, tipico nei nebbioli di Langa affinati a lungo. Si sente poi la frutta sotto spirito, ricorda quei liquori fatti in casa ed aromatizzati con bacche rosse. Bellissima la prugna dolce, come un sacchetto di Sunsweet appena aperto. Manca un pochino di acidità ma è comprensibile, in compenso i tannini sono perfettamente integrati e morbidi. Assaggiato anche dopo circa 4 ore mantiene un bel bouquet e regala ulteriori profumi che virano verso il cacao. Un Barbaresco di grande stoffa che dopo 45 anni è ancora in ottima forma. Lo abbinerai ad uno stufato di carne. Direi che il test di longevità è superato a pieni voti.

Luca gonzato

Un ringraziamento sentito a Tullio, grande appassionato e conoscitore di vini, per avermi regalato numerose bottiglie della sua collezione, compresa questa.

Il Cileno che parla Italiano

Haras de Pirque 2018 Chardonnay. Arriva dalla tenuta di Antinori nel centro del Cile, è un bianco ‘teso’, verticale, di spiccata acidità e profumi fragranti floreali, di bosso, acacia, poi la banana acerba, l’erba appena tagliata. Da aperitivo o per una cena leggera, ha comunque il 13% di volume alcolico che gli dà un bel corpo. Le vigne sono tra i 500 e i 600 m nella regione di Maipo, dove le Ande iniziano ad alzarsi. L’immaginazione corre.

Luca Gonzato

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