Parlare di questo vino è come mettersi in viaggio e veder scorrere un bel panorama dal finestrino. La partenza è in Val di Non, Trentino, nel vigneto di Coredo particella 209. Siamo a oltre 800 m di altitudine su suoli prevalentemente composti da dolomia dove, su 1000 mq., sono allevate ad alberello le viti di Johanniter. Una varietà resistente alle malattie fungine che resiste molto bene anche al freddo.
È la prima vendemmia, dell’ottobre 2013, svoltasi sotto una nevicata, ad aver dato il nome a questo vino della neve. Nel calice ho l’annata 2017, un vino cristallino e molto profumato che trasmette il suo carattere alpino, di fiori bianchi ed erbe aromatiche. Mi porta oltre, a note terziarie che ricordano la parentela con il Riesling. L’assaggio è strepitoso, freschezza e acidità introducono un susseguirsi di aromi retronasali, un ricordo di mentuccia ed erba tagliata che passa all’agrumato citrino e arriva alla polpa di mela. Il sorso è accompagnato da una sensazione setosa di estrema eleganza, una carezza che lascia infine spazio alla sapidità e alla voglia immediata di ripetere il sorso. Wow! Dal finestrino vedo il sole accecante riflettersi sulla neve, sento l’aria pulita e frizzante.
Ora capisco il valore di questo vino e sono felice d’aver assaggiato la bottiglia nr. 306 delle 518 prodotte. Il senso di Nicola per il vino è davvero grande. Questo Vin de la Neu è uno dei migliori vini bianchi assaggiati, uno Johanniter che se dovessi valutare con un punteggio classificherei oltre i 95 punti. Le uve fermentano e affinano in barrique per 11 mesi. Fare un grande bianco che passa in legno non è da tutti, Nicola dimostra grande capacità e precisione. Il Vin de la Neu si distingue per l’armonia delle componenti e per la piacevolezza che se ne trae degustandolo. La persistenza è lunga e sempre elegante, sfuma lasciandoti la sensazione di un grande vino, come l’uscita di scena di una diva tra gli applausi che subito dopo è richiamata al palco dalle richieste di Bis. Il volume alcolico è del 12,5%. Questa bottiglia finirà molto prima di quello che vorrei.
Milano 16 gennaio 2021 Ho infranto la zona rossa con un grande bianco
2021
Vin de la neu di Nicola Biasi, Via San Romedio 8 Fr. Coredo, Predaia (TN) – sito web
Vista dalla città la montagna è un miraggio, irraggiungibile in questo periodo.
È lei ad arrivare da me, sotto vetro, con il nome antico di Edolo e la sagoma dell’Adamello impressi in etichetta.
È l’Idòl, quello ufficiale, annata 2019, prima produzione commercializzata della Cooperativa Alpi dell’Adamello. Una realtà che ha puntato in modo esclusivo, e direi con successo, sulle varietà resistenti (PIWI*). Un bel esempio di sviluppo sostenibile e di inclusione. I vigneti sono coltivati tra i 700 e i 900 m/slm, su suoli di origine morenica con presenza di rocce scistose.
La varietà utilizzata in questo bianco fermo è il Solaris, un incrocio che oltre a resistere alle malattie fungine resiste bene anche al freddo (lo coltivano anche in Svezia). Resistenza alle malattie significa fare il minor numero di trattamenti in vigna e vini più sani in bottiglia.
Vediamo ora cosa racconta nel bicchiere. Si presenta scintillante, come cristalli di neve sotto il primo sole. La bottiglia è passata dalla cantina alla terrazza e l’ho stappata a circa 7°. Il profumo è elegante e gioioso, di aromi che ricordano i fiori bianchi e il fruttato di pesca, profumi freschissimi come si direbbe del pesce dagli occhi brillanti messo sul bancone. Pescato fresco, ma qui siamo in montagna ed è piuttosto un “appena colto”, dell’annata 2019. All’assaggio entra come un ruscello tra le rocce, ricco di mineralità. Esplode in bocca diffondendo gli aromi su tutta la cavità. Quando si deglutisce arrivano nuove note retronasali, vegetali, di erbe aromatiche come il timo e la salvia. Il fruttato si estende arrivando a contemplare note di frutta esotica. Si percepisce una bella sapidità sulla punta della lingua, la fragranza del frutto rimane a lungo e la chiusura è fresca e invitante al nuovo sorso.
Ho assaggiato diversi Solaris e in questo Idòl trovo un’espressione unica e caratteristica di questa zona. Lo so che il termine mineralità è abusato e mal tollerato da molti ma questo vino ne è una dimostrazione concreta. Se volete testare di persona, vi invito a contattare il produttore per vedere dove poter trovare una delle 1305 bottiglie prodotte. È passato almeno un minuto e sento ancora la lingua che frizza e un bel frutto tra le guance.
Oltre alla piacevolezza (che mi ha fatto versare oltre mezza bottiglia per questa degustazione), voglio segnalare il terroir della Valcamonica come uno tra i più interessanti da scoprire.
Il volume alcolico è del 13%, inizio a sentirlo, meglio metterci sopra qualcosa, proverò l’ossobuco alla milanese, un concentrato di morbidezze che troverà sicuramente nell’Idòl il miglior antagonista.
Il tramonto su Milano non sarà come quello sul mare o sulle montagne Valtellinesi ma ha comunque il suo fascino, soprattutto se arriva dopo giorni di nebbioni. L’ultimo sole fa brillare i toni aranciati del Vagabondo nel calice. Sentendone i profumi gioisco per trovarmi di fronte ad un vino che già all’olfatto racconta una storia.
Si apre su note di moscato e fiori bianchi, ricordi da “vino passito” di albicocca e canditi. Le uve bianche da varietà di Riesling (15 diversi cloni) e di Moscato (Piwi), macerano sulle bucce per oltre tre mesi, in anfora. Fermenta naturalmente con i lieviti presenti sugli acini e in cantina, svolge la malolattica e non viene filtrato.
All cieca, dopo aver sentito i profumi, ti aspetteresti un vino dolce, ed eccolo invece secco e fresco con una punta amarotica e speziata. Si percepisce in contemporanea una presenza tannica astringente e una sensazione burrosa accompagnata con armonia da una vena sapida e minerale.
Il produttore è Marcel Zanolari di Bianzone (SO), in Valtellina. Opera una viticoltura biologica e biodinamica certificata.
Nel frattempo ho apprezzato il retrogusto che rimanda alle note del moscato, uva spina, rosa… È ancora in bocca, con una persistenza infinita. Si scioglie sui sentori dolci dell’olfatto e, come su una giostra che ha terminato il giro, non vedi l’ora di farne un’altro per quanto ti sei divertito.
In qualche modo quella struttura potente ma elegante che caratterizza i rossi di Chiavennasca (Nebbiolo delle Alpi) la si ritrova anche in questo Vagabondo, degna espressione in bianco del territorio Valtellinese.
Casa vinicola Marcel Zanolari di C.V.L.T. , Via Teglio 6/10, Bianzone (SO) – sito
L’emozione di assaggiare un nuovo vino Piwi è sempre grande e lo è ancor di più se si tratta dell’opera prima di Ca’ Apollonio. Una realtà in costante sviluppo che punta ad essere un riferimento nella coltivazione biologica e di vitigni resistenti in Italia. Il vino 3.6.9 è il biglietto da visita, ci racconta di 3 anni di sovesci, 6 anni di impianti, 9 anni di permacultura e di sole 369 bottiglie prodotte per questa anteprima.
I toni tenui e luminosi accompagnano profumi intensi di fiori bianchi e frutti tropicali. All’assaggio ne percepisco una spiccata acidità e salinità che fanno da spalla ad una elegante progressione aromatica di frutti maturi come la pesca bianca e la mela golden. Con vino degustato fresco si hanno sensazioni di frutto croccante e minerali, quasi gessose. Con l’alzarsi della temperatura si passa a note più rotonde e avvolgenti. La vena salina rimane ma si apprezza anche la morbidezza alcolica e glicerica.
Il 369 è vestito di chiaro ma con il suo 13,5% di Vol. ha un corpo da rosso. Decisamente un bel vino, armonico nell’insieme e piacevole nel gusto. Mi ha fatto pensare a Luce, il primo brano cantato in Italiano da Elisa, “…Parlami, come il vento fra gli alberi; Parlami, come il cielo con la sua terra…”.
Grande opera prima, espressione veneta del territorio ai piedi del Monte Grappa nel comune di Romano d’Ezzelino (VI) e di un vitigno dal grande potenziale quale è il Souvignier Gris. L’annata degustata è la 2019.
Dietro le quinte di questo vino si trovano Maria Pia Viaro Vallotto e Massimo Vallotto artefici del progetto Ca’ Apollonio e l’enologo Nicola Biasi, miglior giovane enologo d’Italia 2020 (da Associazione Vinoway Italia), conosciuto anche per il suo Vin de la Neu.
Azienda agricola Ca’ Apollonio, Romano d’Ezzelino (VI) – Pagina Facebook
Era il titolo dell’evento organizzato da Onav Varese nella bella location del Gran Palace Hotel. A presentarlo uno dei massimi esperti in materia di incroci di viti, il professore e breeder Marco Stefanini della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (Tn). Il suo racconto ci ha accompagnato in un bel percorso di conoscenza delle varietà e di degustazione di 10 vini.
Sostenibilità, rispetto ed espressione del territorio sono impliciti nelle varietà di viti resistenti (PIWI) ma la collocazione e la percezione di questi vini sul mercato non è ancora chiara. Se da una parte si possono produrre vini con un minor costo in vigna e in zone considerate “meno vocate”, dall’altra c’è una ricerca e una sperimentazione di qualità che punta alla migliore espressione varietale possibile in un determinato territorio.
A mio avviso una strada non preclude l’altra e infatti abbiamo produttori con vini Piwi che si posizionano su fasce di prezzo molto diverse, dovute al diverso impegno e investimento piuttosto che a pure logiche di marketing.
Dalla serata è emerso (ancora), come i nomi possano essere un ostacolo all’accettazione di questi nuovi vitigni, vuoi perchè troppo fantasiosi (es. Solaris, Bronner..) o all’opposto troppo vicini agli storici genitori (Cabernet, Pinot, Merlot…). Dovremmo pensare maggiormente alla valorizzazione dei territori produttivi piuttosto che focalizzarci sui nomi… All’assaggio i vini hanno sorpreso e ricevuto numerosi apprezzamenti e qualche critica. Penso agli spumanti e ai bianchi dalla grande acidità che qualcuno ha trovato eccessiva. Cosa che per me è invece una grande dote. Amo la mineralità, la sensazione tagliente e la scorrevolezza nel palato indotta da un buon livello di acidità.
Penso che l’approccio ai vini Piwi richieda un’apertura mentale al nuovo, alla diversità gustativa. La “comfort zone” del vino di ogni winelover dovrebbe essere un luogo aperto dove selezionare tramite il nostro gusto tutto ciò che di buono viene prodotto, indipendentemente dal nome che porta. Per alcuni è però un luogo chiuso da tempo, fatto magari da poche varietà ed etichette. Ciò che differenzia un Piwi da un vino “tradizionale’ è un plus, non un deficit.
Tornando alla serata, la degustazione è stata fantastica per tipologie assaggiate. Oltre ad apprezzare i vini provenienti da diverse regioni in cui è consentita la coltivazione, si sono assaggiate le microvinificazioni di due nuove varietà appena iscritte nel registro nazionale.
Il Pinot Regina, sebbene vinoso ed evidentemente giovane al gusto, ha lasciato percepire la nobile parentela e la potenzialità di evoluzione. Sono certo ne usciranno grandi vini.
Ancora più interessante l’F22P010 il vino (ancora senza nome), nato in FEM dall’incrocio di Teroldego e Merzling. Dimostra già una bella struttura e bevibilità. È una microvinificazione che senza dubbio convince e che spero possa essere il primo step per una rapida diffusione e valorizzazione in bottiglia.
Purtroppo quando si parla di nuove varietà si mettono in conto tempi lunghi prima di raccogliere i risultati. Ci vorrà ancora qualche anno per trovare questi vini in commercio ma è ormai un traguardo vicino se si pensa ai quasi 15 anni di lavoro precedenti.
Gli altri vini degustati:
Zero Infinito, Pojer e Sandri (Trentino; uve Solaris; spumante metodo ancestrale)
Santacolomba Brut, Cantina Sociale di Trento (Trentino; uve Johanniter, Solaris, Bronner; spumante metodo classico)
Santacolomba Più forte della magia, Cantina sociale di Trento (Trentino; uve Johanniter, Solaris, Bronner; bianco)
A-Mors 2019 bianco, Le Rive (Veneto; uve Fleurtai, Soreli e Sauvignon Kretos)
Limine 2017, Terre di Ger (Friuli Venezia Giulia; uve Soreli 90%, Sauvignon Kretos 10%; bianco)
El Masut 2017, Terre di Gerr (Friuli Venezia Giulia; uve Merlot Kanthus e Merlot Khorus; rosso)
A-Mors 2019 rosso, Le Rive (Veneto; uve Cabernet Volos)
Se dei bianchi si sono apprezzate le grandi doti di freschezza ed eleganza, nei rossi ha colpito la personalità ormai matura e capace di viaggiare allo stesso passo dei più conosciuti bianchi. Non mi sento di evidenziare nessuno perchè ognuno racconta davvero qualcosa di diverso e di egualmente interessante, perciò provateli e scoprite voi quali preferite!
Altra bella sorpresa della serata è stata una cassetta colma di grappoli di uve PIWI da tavola che si sono potute assaggiare. Zero trattamenti e 100% buon gusto.
Il futuro è anche questo.
Ringrazio Micaela e Umberto di Onav Varese, il Prof. Stefanini di FEM e Vincenzo di Civit per la bella serata e per lo sguardo verso il futuro che mi hanno regalato.
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