Dipende che Vino

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Centomani 2020, Podere Panta Rei

La temperatura scesa di un paio di gradi mi ha fatto venir voglia di stappare un rosso, un grande rosso.
Centomani arriva dalle colline Pisane, le uve sono di Sangiovese al 100%.
Al naso esprime complessità: more e ciliegie sotto spirito, cuoio, legno maturo, cioccolato, erbe officinali, note etere, canfora… sono tanti gli spunti olfattivi che offre.

Nel palato entra con eleganza, come una carezza sul velluto, l’acidità è viva ed equilibrata, lo lascia scorrere per poi lasciarsi sottomettere da sensazioni calde e avvolgenti. Ha il 14,5% di volume alcolico. Si percepisce il peso robusto sulla lingua. Quando arriva in fondo lascia aperte due strade, la prima indica un tannino gentile che vuole essere accompagnato da una pietanza adeguata, mentre la seconda prosegue in una persistenza aromatica di frutti rossi-neri macerati e fiori passiti.

La forza muscolare non è grezza ma bensì fine ed elegante. È un gran bel vino. La vinificazione è particolare, le uve sono diraspate a mano, l’uva rimane intatta e rilascia il succo poco a poco durante il processo di fermentazione. Affina due anni in tonneaux di rovere francese e un anno in bottiglia.

Centomani sono quelle che ti stringono in un caloroso abbraccio gustativo, raccontano di un vino fatto bene da Alberto bellini di Podere Panta Rei. Un vino rispettoso della natura e tanto tanto piacevole. Memorabile!

Chiaretto, Spumante Metodo Classico, Enrico Gentili

Un mesetto fa ho fatto visita a Enrico Gentili, titolare dell’omonima cantina e questo suo spumante ha catturato subito la mia attenzione. Le uve utilizzate sono le tipiche Corvinone, Corvina, Rondinella e Molinara. In uno spumante Metodo Classico non le avevo mai viste. Gentili è a Caprino Veronese nella zona del Bardolino, tra lago di Garda e Valpolicella.

Nel calice si mostra brillante, con una sfumatura rosata nel colore e tante tante bollicine che non vedevano l’ora di liberarsi. Portano all’olfatto dei piccoli frutti rossi di fragoline di bosco e lamponi, sentori di pasticceria secca e una nota di caramella al rabarbaro.
Le vigne sono condotte in regime biologico e le uve raccolte a mano. In cantina riposa sui lieviti per 20
mesi prima della sboccatura. In questo Chiaretto è avvenuta nel febbraio 2022. Non vengono aggiunti zuccheri, è un Dosaggio Zero.

L’assaggio è secco, asciutto, di corpo. Si percepisce subito la struttura data da uve importanti e l’eleganza di un Metodo Classico di livello superiore. Entra con una bella carbonica che lascia spazio a ricordi minerali salini e ad un sottile tannino. Nella progressione non concede sbavature ed arriva dritto e gustoso fino alla fine. Solo dopo, nella persistenza, la bocca diventa setosa e arrivano echi lontani di fragolina dolce e matura.

La curiosità era tanta, ed anche il timore che potesse rivelarsi un esperimento o poco più, invece è un gran bel Metodo Classico. Non diresti che sono le stesse uve dell’Amarone per intenderci, alla cieca avrei puntato lo sguardo più a ovest verso la Franciacorta per identificarlo.
Mi piace molto la persistenza aromatica, c’è complessità e pulizia. fanno capolino la fragolina, il rabarbaro, la pasticceria secca e persino un agrume di limone.

Il fatto di non averlo addizionato di zuccheri è stata la scelta migliore a mio avviso, c’è così tanta sostanza e dolcezza intrinseca che non serve altro se non la pazienza di aspettarlo nell’affinamento.
C’è lo stile di Enrico in questo spumante, finezza e precisione contraddistinguono questo Chiaretto così come gli altri suoi vini.
Valorizzare le uve e il territorio in modo diverso non era cosa semplice da realizzare ma questa scommessa Enrico l’ha vinta alla grande. È uno spumante che sorprende e conquista, assolutamente da provare.

Nativ-13, Leban

Qualche mese, a Nova Gorica (la parte Slovena di Gorizia), ho assaggiato un macerato che mi era piaciuto molto e così, al ritorno a casa, tramite il web ho trovato la cantina produttrice e fatto un ordine.
I vini sono arrivati e, come un bambino che riceve un nuovo giocattolo, ho aperto i cartoni e ho preso quello che aveva più anni, il Nativ-13 (è un’altro vino rispetto a quello già assaggiato in precedenza).

È un Orange wine (e non mi frega niente se è un termine che vi risulta antipatico e che sarebbe più corretto chiamarli bianchi macerati). Si presenta con un colore spettacolare che definire aranciato è il minimo. Limpido e cristallino che non diresti mai che è un non filtrato.
Il Nativ-13 ha fatto 6 MESI di macerazione in anfore d’argilla (Kvevri Georgiane) e 30 MESI di maturazione in botti di rovere.

I profumi sono deliziosi, puliti, di fiori e frutti essiccati, datteri. Senza il minimo difetto olfattivo.
L’ingresso in bocca è salino e abbastanza asciutto, tannico. C’è un ritorno agrumato d’arancia candita e spezie esotiche… curcuma, zafferano. Balsamico nel retronasale. Il tannino è ben composto, setoso. La complessità si espande a percezioni tattili fresche e avvolgenti. Gli aromi restano per minuti. Sfuma lasciando una memoria di piacevolezza e la bocca asciutta che vuole un nuovo assaggio.
L’uvaggio è 60% Chardonnay, 40% Rebula e Malvazija (Ribolla e Malvasia istriana).
Insieme regalano un vino elegante, armonico. Ne senti il respiro dell’anfora e la levigatura del tempo passato in legno. Bellissima evoluzione.
Lo Chardonnay mantiene il suo splendore aromatico. Ribolla e Malvasia lo sorreggono con corpo e mineralità salina oltre che nella loro maturazione aromatica. Il volume alcolico è al 12,5%.

Nativ-13 è un macerato che esce dalla bottiglia come il genio dalla lampada, sono passati 10 anni, ma lui è lì, sveglio e vivo, pronto ad esaudire i tuoi desideri gustativi con un’eleganza da maggiordomo.

La famiglia Leban ha vigne e cantina nella Valle del Vipava a Prvačina, frazione di Nova Gorica (Prevacina, Valle del Vipacco, vallata italiano/slovena). Come dice Borut Leban, il giovane enologo e titolare, “Il vino è creato dalla natura, noi lo rispettiamo e basta”, io aggiungo che per fare un Orange del genere ci vuole anche tanta attenzione e conoscenza.

Mi viene la pelle d’oca a pensare a certe espressioni improvvisate che ormai arrivano da tutta Italia e che sotto il cartello di “naturale” si mostrano scomposte, smaltate di vernice e per niente piacevoli…
Nativ-13 potrebbe essere considerato estremo per il suo percorso di vinificazione ed invece è maturato con stile ed ha tutte le caratteristiche per essere gradito sia dagli amanti degli Orange wine che dai neofiti del genere.

Bourgogne Pinot Noir 2021, Couvent Des Jacobins – Louis Jadot

Il Borgogna rosso Couvent des Jacobins è un Pinot Noir ottenuto dall’assemblaggio di vini selezionati provenienti da tutta la Côte d’Or – da Gevrey Chambertin a Maranges, nelle Hautes Côtes de Beaune e nelle Hautes Côtes de Nuits – ma anche dalla Saône et Loire nel sud (Mercurey, Givry.. .). Sono il risultato di una vinificazione tradizionale e un affinamento da 8 a 10 mesi in botti o in vasche d’acciaio inox prima di essere riuniti per l’imbottigliamento.

Alla vista si presenta sgargiante di un bel rosso rubino carico.

Olfatto, pulito, intenso e tipico del Pinot noir. Trovo un piccolo frutto rosso di bosco, la rosa rossa e una nota balsamica all’orizzonte.

All’assaggio si hanno sensazioni contrastanti. L’ingresso e quasi polveroso, terroso, in una percezione che porta poi ai sentori di sottobosco. Si scandiscono nel retrogusto i frutti rossi accompagnati da una sapidità minerale e da ricordi salmastri e balsamici che confermano l’olfatto. C’è complessità, su questo non c’è dubbio.

Ha corporatura che traspare in ogni piega che prende nel palato. Il volume alcolico è del 12,5%, pensavo fosse superiore perchè è un vino che scalda e avvolge.

Ha tante sfaccettature che si possono scoprire. Si trovano sfumature del passaggio in legno ma anche quella freschezza aromatica del ‘solo’ acciaio. Ogni Pinot noir che concorre lo fa aggiungendo qualcosa di particolare che poi come in un patchwork disegna qualcosa di unico.

Potrebbe essere una nota negativa questa del patchwork, come dire, facciamone uno con un po’ di questo e di quello ed invece gli conferisce una personalità che lo differenzia.

Equilibrio e persistenza sono notevoli. Rimane questa sensazione minerale salina associata al frutto che chiama l’abbinamento ad un cibo succulento. Forse pecca un pochino in eleganza ma se paragonato a tanti altri Pinot neri italici questo è di gran lunga meglio.

Guardando il sito di questa cantina ho notato la vastissima produzione ed ora vorrei proprio salire di livello, questo può essere ritenuto un approccio alla cantina, si parte davvero bene.

Depero rosso 2020, Vivallis

Vino dedicato al futurista, sperimentatore e teorico degli sviluppi industriali delle arti Fortunato Depero che nella Vallagarina, dove ha sede la società cooperativa Vivallis, trovò ispirazione per il suo lavoro. “Iride nucleare di gallo” è l’opera in etichetta. Le uve sono di Lagrein e Merlot.

Impenetrabile e misterioso alla vista, denso e pesante, concede un contorno scarlatto giusto sui bordi. Anche al naso si apre circospetto. Apre spiragli di frutta nera macerata di more, mirtilli  e speziature di chiodo di garofano e vaniglia.

L’assaggio arriva come una stretta di mano vigorosa. Si fa conoscenza e svela una personalità buona e disponibile. 

Acidità e volume alcolico del 13,5% sono ben bilanciati, il tannino setoso. La struttura si regge su questi tre pilastri. La progressione lineare, composta. Nell’allungo si scioglie la gustosa composta di frutta, un ritorno di ciliegia surmatura.

Ho ricordato alcune opere di Depero, il movimento, l’armonia delle forme. Ci sono anche in questo vino ma più che altro il parallelo lo si trova nella precisione delle linee che, parlando di vino si ritrovano anche qui. Il blend di uve è azzeccato, l’una è complementare all’altra. L’opera che ne esce è un disegno enoico esclusivo che associa eleganza e piacevolezza.

I secondi di carne ci andrebbero a nozze, inizio a salivare pensando ad un filetto di chianina. 

Bel vino da regalarsi o da regalare.

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