Dipende che vino: Vendita vini ...e qualche calice in degustazione

Via Bonghi 12 Milano. Tram 3 e 15 - Bus 90/91 - Metro più vicina Romolo (più 10 minuti a piedi o Bus).

Eremo dei Sogni, il vino di Dipende che Vino

Eremo dei Sogni è più di un vino: è un progetto condiviso, un esperimento vivo di artigianalità e visione. Nasce da un’idea di Luca Gonzato dell’enoteca “Dipende che vino” specializzata in vini PIWI, in collaborazione con l’amico produttore Simone Dellafiore della cantina Achille Dellafiore (proprietario del vigneto in Valle Versa), e l’enologo Gabriele Valota, esperto di vini PIWI.

Le uve sono di Johanniter coltivate in frazione Tassarole di Montù Beccaria, nel cuore dell’Oltrepò Pavese. Questa prima annata 2024 ha avuto un affinamento di 6 mesi in barrique di acacia non tostata. È stata imbottigliata senza filtrazione, per preservarne integrità e carattere. Sono state realizzate solo 130 bottiglie numerate. La parte rimasta in barrique sarà la base di partenza per un viaggio nel tempo chiamato Metodo Solera che, per chi non lo sapesse, significa togliere ogni anno una parte del vino per imbottigliarlo e rimpiazzarlo nella barrique con vino della nuova annata, si ha così ogni anno una cuvée diversa che contiene una parte delle annate precedenti.

Cercando di essere imparziale nella degustazione posso dire che alla vista è di un giallo dorato brillante. L’olfatto rimanda a freschezze primaverili di fiori ed erbe aromatiche.
La scelta della barrique per l’affinamento gli ha donato struttura e complessità. Il profilo è elegante e materico: fiori bianchi, note di miele e fruttate di agrumi e pomacee, con freschezza minerale e profondità.

In bocca è elegante, armonico, con una persistenza che invita alla riflessione, come una passeggiata tra le colline immerse nel silenzio.
Il volume alcolico limitato al 12% consente una beva non impegnativa senza tralasciare una struttura che offre spunti di piacevolezza.

Eremo dei Sogni è un vino e un luogo immaginario, in etichetta è riprodotta un’opera di Matteo Favaro realizzata per Dipende che Vino.
Se ti venisse la curiosità di assaggiarlo lo trovi esclusivamente in enoteca, da Dipende che Vino a Milano, oppure online su vinipiwi.it

Giovedì 6 novembre 2025 Eremo dei Sogni sarà in assaggio in anteprima in enoteca, dalle ore 16 alle 22 circa – sarà anche l’occasione per brindare ai 2 anni di enoteca – Dipende che Vino, Via Bonghi 12 Milano

Wine of Thailand: Shiraz 2023, Monsoon Valley

“Vino Thailandese, ma dai!”.

Prima di partire e durante la prima settimana di viaggio tra Bangkok e Chiang Rai nel nord della Thailandia ero convinto che non esistessero vini Thailandesi, anche un mio cliente Thai che frequentava la Bocconi a Milano me lo aveva detto, ed invece viaggiando verso la città di Chiang Mai, in una delle soste che si fanno quando ci si sposta sui minivan, ho curiosato tra i pochi vini in vendita di un negozio ed ho letto con grande stupore, su una bottiglia bordolese: “Wine of Thailand”.

Durante la vacanza ho trovato spesso vini Cileni, Australiani, pochissimi invece quelli francesi e italiani. Mi è sembrato che il vino fosse molto marginale nel consumo, sono più comuni le birre, si trovano ovunque Singha beer, Leo, Tiger e le internazionali Heineken e Corona. A Phuket, dopo tanti piatti di Pad Thai ci siamo concessi una cena italiana da Mario, ottimo ristorante italiano/sardo a Karon beach, allietandoci con una bottiglia di vermentino Costamolino di Argiolas (pagato comprensibilmente 5 volte più del prezzo da noi).

Karon beach a Phuket

La Thailandia è un paese prevalentemente Buddista, tra i 5 precetti principali di questa religione c’è quello di non consumare alcool. Una guida turistica locale che ci ha accompagnato a visitare alcuni templi mi ha però confidato che tanti ne osservano solo 4, il quinto è proprio quello che riguarda l’alcool…

Singha beer, la mia prima birra thailandese a Bangkok

Quella bottiglia made in Thailand vista nei pressi di Chiang Mai non l’avevo comprata, 800 Bath (circa 21,00€) mi sembravano troppi, poi in quella occasione mi ero perso via ad assaggiare gli insetti secchi che ci avevano offerto e poco dopo eravamo ripartiti. Gli insetti fanno impressione ma al gusto sono come chips, offrono un ottimo apporto di proteine. Comunque non li ho visti molto spesso in vendita. Più comuni sono gli snack di pesce, calamari, seppie ecc.

Per tutti i restanti giorni di viaggio mi era rimasto il cruccio di non aver comprato quel vino Thailandese, soprattutto perchè assaggiavo delle porcherie, come nella bella città di Chiang Mai, in cui nel locale “Wine terrace” mi hanno servito un rosso cileno freddissimo e imbevibile anche a temperatura giusta, probabilmente costruito con mosto concentrato rettificato.

Il giorno di ripartenza per l’Italia, in aeroporto, ho ritrovato quello Shiraz che tanto mi ero pentito di non aver preso prima, così sono stato felice di prenderlo anche pagandolo di più (990 Bath, circa 26,00€). Negli aeroporti la temperatura è molto bassa e tutto sommato forse si è conservato meglio qui che in quel negozietto. C’era anche un’altro vino Thai ma aveva un’etichetta dorata pacchiana e poco promettente, mentre quella di Monsonn Valley è ben fatta e riporta alcuni “premi” ricevuti all’International Wine Challenge AWC Vienna: Star winery 2023; Best National Producer 2021. Sul sito del produttore ho poi scoperto che questo vino ha conquistato il Gold nel 2015 al Concorso Internazionale di Vini e Spirits di Hong Kong ed il Silver nel 2016 a Mundus Vini International Wine Award in Germania.

Ben protetta mi sono messo la bottiglia nel bagaglio a mano ed ha percorso con me i quasi 10.000 km per arrivare a Milano, un bel souvenir per aiutarmi a superare la differenza tra l’asfalto cittadino e le bianche spiagge del mare delle Andamane.

Monsoon Valley coltiva i suoi vigneti in 3 località: Monsoon Valley Vineyard a Hua Hin, Tab Kwang Vineyard e Chiang Mai Vineyard. Hua Hin Vineyard, il più grande dei tre, dove ha la sede, si estende per oltre 700 Rai (circa 110 ettari) in cui sono presenti molti terreni incolti che non saranno mai utilizzati per scopi agricoli e serviranno come rifugio per la fauna locale. Solo l’acqua piovana, raccolta in diversi stagni nella stagione dei monsoni, viene poi utilizzata per irrigare le viti nella stagione calda. I suoli sono fertili e con terre rosse.

I varietali coltivati sono tanti così come le etichette prodotte. Colombard, Chenin Blanc, anche l’italianissimo Sangiovese, poi Rondo, Shiraz, Muscat, Dornfelder, Merlot, Cabernet Sauvignon, Sauvignon Blanc ed anche un un paio di “resistenti”: Pinotin e Solaris.

Foto di Monsoon Valley

La Thailandia ha una grandissima produzione di riso che esporta in tutto il mondo ma ha anche una grande produzione di frutta (buonissima) come il cocco e il mango che stanno insieme in uno dei piatti più iconici di questo paese, ovvero il mango sticky rice (dessert a base di riso, guarnito con mango fresco e latte di cocco), poi ananas, banane, fruit passion, dragon fruit, rambutan, durian ecc… se vengono così buoni credo proprio che anche l’uva da vino possa dire la sua.

Dopo questo breve racconto per inquadrare un pochino l’azienda e un luogo di produzione ancora agli albori nella storia della viticoltura mondiale è arrivato il momento di assaggiare questo Shiraz o Syrah se preferite, il noto vitigno francese originario della valle del Rodano.

L’annata è la 2023. In vinificazione ha fatto una fermentazione a temperatura controllata, malolattica, e affinamento per 18 mesi in barrique nuove francesi. Il Vol. alcolico è del 13%. Essendo pieno agosto l’ho leggermente raffreddato.

Nel calice ha un bel rosso rubino scuro con sfumature granato. L’olfatto è pulito, abbastanza complesso ed equilibrato. Ci sono note di frutti scuri come la prugna e le more, cuoio, alloro, ricordi di chiodo di garofano e pepe nero. L’uso della barrique sembra ottimale.

All’assaggio si percepisce un’acidita abbastanza rilevante mentre il tannino è piuttosto fine. Si ritrova nel retrogusto la prugna e il ricordo speziato del passaggio in barrique e qualcosa di particolare che non riesco a identificare. È la scheda tecnica del vino a dirmelo, è l’aroma di caffé tostato. Nel finale si alternano sensazioni setose e sabbiose. La persistenza aromatica è abbastanza lunga. Nel complesso è un buon vino, dal corpo abbastanza strutturato, agile. Mi ha ricordato i combattenti di Thai boxe, veloci e nervosi, non grossi e muscolisissimi, ma agili e tecnici nel combattere.

Alla cieca non sarei mai potuto arrivare ad identificarlo come vino Thailandese. Certamente è un vino che in piacevolezza supera alla grande tutti i rossi assaggiati in loco. Non saprei dire se è stato pensato per essere esattamente così, forse lo vorrei un filo più grasso e alcolico però se immagino di consumarlo con del maiale insieme a vegetali e spezie, saltati in padella alla Thailandese, ne godrei sicuramente.

Ottimo souvenir, da oggi posso dire che anche la Thailandia ha almeno un ottimo vino… ora mi si è insinuato il tarlo di voler assaggiare il loro Sangiovese. Complimenti davvero ai produttori della Monsoon Valley.

E voi che vini avete scoperto?

Per maggiori informazioni sul produttore visita il sito Monsoon Valley

Chiusura estiva 2025

Ciao amici di Dipende che Vino, questo post è per comunicare la chiusura estiva dell’enoteca dal 26 luglio al 26 agosto, una mesata che mi consentirà di ricaricare le batterie e di portare avanti altri progetti sul vino: un vino bianco affinato in barrique targato Dipende che Vino, ottenuto da vitigni resistenti coltivati in Oltrepò Pavese e un nuovo libro sui PIWI in collaborazione con un eminente professore di San Michele all’Adige. Poi di certo non si ferma la mia curiosità nello scoprire nuovi vini da inserire in enoteca, sia PIWI che tradizionali, quindi vi aspetto a settembre per un assaggio insieme e per farvi scoprire tanti vini fantastici che ho a scaffale!

Buone vacanze!

Banco Degustazione di vini PIWI

Giovedì 16 GENNAIO 2025 – Leonardo Hotel, Via Messina 10 – H 18,30-22,00

Oggi 16 gennaio ci sarà un Banco degustazione di vini davvero speciale. Saranno presenti 15 produttori di vini da vitigni resistenti (PIWI) della Lombardia e CIVIT Consorzio Innovazione Vite che proporrà Microvinificazioni di nuove varietà. L’evento è stato organizzato da Dipende che Vino (enoteca specializzata in vini PIWI) con ONAV Milano (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino) e PIWI Italia sezione Lombardia.

Ci sarà anche una Masterclass dedicata al progetto VITAVAL dedicato all’adattamento delle varietà PIWI in diverse zone della Lombardia. Ci sono ancora alcuni posti disponibili per la seconda sessione…

Vi aspetto dalle 18,30 per assaggiare insieme qualche buon vino e per parlare di PIWI!

Barolo 1970, dai vigneti del Parroco di La Morra

Una delle 100 bottiglie acquistate ad 1€ l’una qualche anno fa. Le vendeva una persona nell’hinterland milanese che voleva disfarsene. Stavano in uno sgabuzzino al piano seminterrato di una villetta, non proprio il luogo ideale per conservarle… anche a vederle alcune erano completamente andate, di una morte trasparente, con le ceneri sul fondo… eppure il fascino di certe etichette mi aveva spinto a prenderle comunque.

Oggi è lunedì, il mio giorno di chiusura dell’enoteca, e così, sull’onda di una leggera brezza ‘franciacortina’, acquisita al banco d’assaggio Viniplus Lombardia di AIS, sono tornato a casa con la voglia di aprire qualcosa della collezione « vintage ». Di questa bottiglia non sono purtroppo riuscito a trovare nessuna informazione.

La bottiglia e il tappo sembrano ben conservati, all’estrazione il sughero è ancora elastico, fortunatamente non si spezza.
Versandolo ne constato un bel colore, luminoso nel complesso, molto più intenso di quello che mi aspettavo da un nebbiolo di 54 anni. Ha riflessi aranciati e un tono rosso mattone levigato dagli anni.

Al naso cerco subito i difetti ma non ne rilevo di eclatanti, c’è una leggera nota acetica che lascia spazio a sentori di goudron e marmellate di frutta. Dovrei avere la pazienza ed aspettare… non ce l’ho. Gli archetti sono vicini e lenti a scendere.
In bocca ha una buona acidità, è lui, è un nebbiolo evoluto bene, con una vena minerale sapida, quasi piccante, che sfocia in aromi di tamarindo e prugne cotte. Che gran sorpresa!, ha ancora tensione e vitalità.

Via via si apre, nel retrogusto arrivano sfumature molto particolari, ricordi di frutta cotta e bacon affumicato, legni antichi.
Il tannino ha ancora una sua muscolatura a sorreggerlo. L’alcool dichiarato è del 13,7%, …deve essere stata un’annata particolarmente calda quella del 1970.
Chissà chi era il parroco di La Morra, e chi ha vinificato questa bottiglia. Se qualcuno ha qualche informazione mi scriva!. Certo che, in quanto a vini, il parroco la sapeva lunga. Gran vino e gran terroir. Finezza ed eleganza si sono mantenute e armonizzate. È un vino che racconta quanto possa durare nel tempo un Barolo e quanto sia fantastica questa uva che amo da sempre.

Le emozioni è bello condividerle e quindi domani (martedì 3 dicembre 2024) lo porterò in enoteca, e chi vorrà passare a trovarmi potrà assaggiarlo.

Le ultime righe le dedico a ricordare di non dare per scontato che un vino di 50anni sia ‘vecchio’, soprattutto se si tratta di vini che reggono bene il tempo come il Barolo. Non buttate quelle vecchie bottiglie, provate ad aprirle perché a volte, anche sé raramente, possono regalare splendide emozioni.

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