Dipende che Vino

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Pinot bianco Toros

È passato del tempo dall’ultimo vino recensito, nel frattempo ne ho assaggiati diversi senza però che nessuno mi colpisse per particolari qualità. Erano uno spumante trentino da Chardonnay, un Greco di Tufo, un Bordeaux ‘low cost’ selezionato da una nota catena di supermercati, un Montepulciano d’Abruzzo ed infine un Curtefranca bianco da uve Chardonnay e Pinot bianco. Non faccio i nomi delle cantine per rispetto del loro lavoro, ma non ci ho trovato niente degno di nota. Preferisco parlare solo di quei vini che mi fanno spalancare gli occhi e allargare il sorriso come questo Collio friulano, Pinot Bianco 2016 della Cantina Toros di Cormons. Ho attinto alla mia riserva ‘garantita’ in cantina, sapevo che non mi avrebbe deluso. 

È un ‘bianco’ elegante e fine con un corpo da rosso. Sapido e fresco, fiori bianchi, pesca, con una morbidezza quasi burrosa e sentori di lieviti, pane. Persistente negli aromi si distingue per la sua bellezza armonica. Ottimo con un risotto ai frutti di mare. Garantito che una volta tolto il tappo non servirà ad altro che aumentare la collezione di sugheri. Questo sì, è un Pinot Bianco memorabile. Sorrido ancora adesso ripensandoci. 😃

Luca Gonzato

Piccola bottiglia, grande Nebbiolo

Gattinara 2013, Travaglini

Acquistare vino online ha i suoi rischi, ad esempio quello di ricevere una bottiglia sottodimensionata a  0,50 l., ma se si tratta del Gattinara di Travaglini ne sei comunque felice perchè la bottiglia è bellissima anche in versione mignon. È stata pensata dal fondatore dell’Azienda, Giancarlo Travaglini nel 1958, per conservare il vino in modo ottimale, con vetro oscurato e con una forma che possa trattenere i residui che si formano dopo anni di affinamento. Tornando all’errore d’acquisto, sono stato ingannato dal prezzo, pensavo si riferisse alla bottiglia da 0,75 l., avrei dovuto porre più attenzione ma aldilà di questo, Travaglini fa uno dei Nebbioli (varietà Spanna), migliori del Piemonte, nella DOCG Gattinara. Vale il costo e se amate i vini da uve di Nebbiolo dovete assolutamente assaggiarlo. È elegante, ‘very cool’, si esprime con i tipici sentori di prugna e frutti rossi, ‘autoritario’ e ‘pulito’ in ogni fase della degustazione, si lascia bere con grande freschezza/scorrevolezza, i tannini e la sapidità sono ben equilibrati con la morbidezza glicerica e il grado alcolico (13,5 Vol.),  Il finale fruttato è lungo, puoi sentire tutte le componenti stare insieme in modo armonico. Non voglio fare la sviolinata ma non fissatevi sui Nebbioli di Barolo o Barbaresco, questo Gattinara è Top. Vellutato, di corpo, con sentori di affinamento in legno (2 anni in botti di rovere di slavonia) eleganti, non disturbano o sovrastano ma semplicemente completano il profilo di questo nebbiolo che raggiunge livelli di eccellenza. Vabbé, basta che altrimenti sembra che mi pagano e non è così. Provatelo e se avete qualche rimostranza scrivetemi.

Luca Gonzato

Il Verdicchio di Montagna

Cantina Belisario, Matelica.

Se c’è un’uva che più di altre può ritenersi rappresentativa della regione Marche è il Verdicchio. Straordinario vitigno che contempla le due DOCG Castelli di Jesi Verdicchio Riserva e Verdicchio di Matelica Riserva oltre a una dozzina di DOC. Il Verdicchio di Jesi viene anche chiamato Verdicchio di mare, mentre quello di Matelica, coltivato su colline tra i 250 e i 700 m/slm viene definito Verdicchio di montagna. Tante le differenze tra i due, nascono da suoli e climi molto diversi. Volendo sintetizzare, a Matelica è presente una faglia del Miocene, terreni di flysh e marne calcaree mentre nella zona di Jesi i terreni sono perlopiù argillosi, calcarei e sabbiosi. Clima più freddo d’inverno all’interno con estati calde e a Jesi più mediterraneo con l’influenza del mare che dista solo 20 km. A Matelica il Verdicchio si esprime con note più minerali, fruttate e complessità mentre a Jesi prevalgono le note floreali e il corpo. Ovviamente non si può generalizzare perché sono troppe le variabili a definire un vino ma prendetela così, come una nota di indirizzo per inquadrare due diverse personalità.

In questo articolo e a seguito della visita fatta alla Cantina Belisario, mi soffermo sul Verdicchio di Matelica nelle versioni del suo più grande produttore, Cantine Belisario, il 70% della produzione totale con 300ha vitati. A raccontarci di Belisario abbiamo trovato nientemeno che il direttore commerciale Patrizio Gagliardi, ex sindaco di Matelica, sommelier Ais e grande conoscitore di vini. Una persona squisita che ha saputo illustrarci con perizia le caratteristiche del Verdicchio di Matelica, così versatile e generoso che riesce a declinarsi dalla bollicina al passito mantenendo le sue principali doti di piacevolezza, ovvero la mineralità e la freschezza data dall’alto tasso di acidità delle uve che nell’Alta Valle Esina arrivano ad essere vendemmiate a fine Ottobre.

Sono sei le versioni che ho voluto prendere in esame:

Cuvée Nadir, Spumante Brut metodo Charmat, uve di Verdicchio. Pérlage fine e persistente, fresco, minerale, con sentori di fiori bianchi, aromi dominanti di mela verde e ananas. Piacevole e ottimo come aperitivo.

Vigneti del Cerro, uve di Verdicchio coltivate sulle pendici est dell’Alta Valle Esina ai piedi del Monte San Vicino. Vinificato in acciaio. Fiori bianchi, pesca bianca, sensazione citrina, fresco, minerale con lievi note morbide finali.

Vigneti B., uve di Verdicchio clone matelicese, conduzione biologica del vigneto. Vinificato con tecnica dell’iperossigenazione, in assenza di solforosa. Profumi floreali e agrumati, in bocca è equilibrato con sensazioni morbide quasi burrose e minerali sapide. L’acidità si fa sentire e trasporta lungamente aromi freschi, vegetali e citrini. Pulito e sincero si lascia bere con gran piacere.

Meridia, bellissimo giallo dorato cristallino, fiori ed erbe di montagna, pesca gialla, miele, ananas. In bocca si contrappongono note burrose e dolci a bellissime sensazioni minerali e di sapidità. Il fruttato è cremoso, scorrevole con la spiccata acidità di questo Verdicchio affinato in antichi serbatoi in cemento vetrificato. Il finale è elegante e armonico. 

Cambrugiano, prodotto dal 1988 solo con uve Verdicchio vinificate con metodo della criomacerazione. Una parte matura almeno un anno in acciaio e l’altra in barili di legno di rovere tostato, si affina un altro anno in bottiglia. Grande complessità olfattiva con accenti di pesca gialla matura, miele, fieno, acacia, vaniglia. In bocca è godibilissimo per la sua morbidezza che corre lunga in un finale fresco di acidità e mineralità. Sentori di agrumi, pietra focaia, bella sapidità, corpo, equilibrio e armonia per questo Verdicchio da podio.

Melitites, vino (Verdicchio) e miele (di melata), della Cooperativa Apicoltori Montani di Matelica, una vera chicca della produzione Belisario. Quello che di più simile possa esserci al vino e miele bevuto dagli antichi romani e descritto da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Un vino che si presta bene ad accompagnare formaggi erborinati, pecorini stagionati oppure da solo a fine pasto, per una meditazione ricca di aromi. Color ambra, consistente e caldo (14% Vol.). Gli aromi del Verdicchio e del miele si sposano alla perfezione e donano al vino una bella freschezza e aromaticità agrumata che lentamente lascia il posto alle note dolci del miele, dei canditi e quelle più amarotiche di mandorle e castagne. Bottiglia da 50 cl e costo sotto i 13€. Una prelibatezza che consiglio di assaggiare almeno una volta. 

In sintesi posso dire che i Verdicchi di Belisario hanno tutti una grande personalità e, malgrado all’inizio avessi qualche perplessità sulla necessità di avere tutte queste versioni, ora la condivido pienamente come scelta, in quanto ognuno racconta qualcosa di diverso e ognuno può soddisfare i diversi gusti del consumatore. Meridia e Cambrugiano sono eccellenti, i miei preferiti, ma per un consumo più frequente o una cena leggera, i Vigneti del Cerro e Vigneti B. sono più adatti. Bella la scoperta dello spumante e del Melitites. Se passate da Matelica una sosta da Belisario è d’obbligo.

Luca Gonzato

Un Pros… anzi un Asti secco

Asti secco, DuchessaLia

Come al solito, facendo la spesa, ho fatto tappa alla corsia vini. Guardando nello scaffale più in basso ho visto quello che ero speranzoso di trovare, lo spumante Asti secco da uve di Moscato. Non avevo ancora assaggiato questa novità vinicola così volentieri l’ho messo nel cestino. Innanzitutto la bottiglia, DuchessaLia è giocata sui toni del bianco, vetro opaco, direi ‘figa’ questa bottiglia, tanto non si scandalizza nessuno. Lo spumante alla vista è brillante, giallo paglierino tenue con riflessi verdognoli, le bollicine sono abbastanza fini e molto persistenti. Gli aromi vanno dai fiori bianchi, glicine, al fruttato, mela verde, lychées, uva spina. Raffinato nella sua semplicità, se ami il moscato questa è una bella interpretazione. Penso sia un ottimo prodotto, dedicato ai giovani, al mondo dell’aperitivo, con un particolare occhio di riguardo al pubblico femminile che probabilmente apprezza maggiormente i sentori dolci che caratterizzano questo spumante dry. Si dice faccia concorrenza al Prosecco, forse è così, per quanto riguarda il tipo di produzione (metodo Martinotti/Charmat) e il target ma in quanto all’uva, la Glera (Prosecco) si esprime con ben altri aromi. Spero che i gestori dei bar lo propongano come alternativa al Prosecco visto che come fascia di prezzo siamo allo stesso livello. Mi piace questo Asti secco ma probabilmente lo apprezzerei maggiormente con un grado zuccherino inferiore, idealmente brut, extra brut o pas dosé. Avessi ancora vent’anni ne terrei comunque un paio di bottiglie in frigorifero da offrire alle nuove ‘amiche’.

Luca Gonzato

Nero di Troia, Castel del Monte

Il must di ferragosto sembra essere la bollicina francese o il bianco altoatesino, ma non per me, io torno, anche se solo con il ricordo, al recente viaggio in Puglia e al passaggio a Castel del Monte, Andria.

Castel del Monte è famosa per la Fortezza del XII secolo, voluta dall’Imperatore Federico II, dalla caratteristica pianta ottagonale. Si erge su un promontorio che domina vigneti e uliveti, dà anche il nome alla DOCG Castel del Monte (Bombino Nero, Nero di Troia Riserva, Rosso Riserva). In questo post mi soffermo su due vini a base Nero di Troia, un vitigno poco conosciuto ma dalle eccellenti caratteristiche che comprendono una notevole sostanza polifenolica (tannini e antociani), che lo rendono adatto ad un lungo affinamento.  Due ‘rossi’ che ti faranno amare i vini delle Murge.

Nero di Troia 2016, Terrecarsiche1939. Vigneti in zona Castel del Monte, Uva Nero di Troia 100%. Al naso è intrigante, frutti rossi, viola, geranio, cuoio bagnato, in bocca è elegante, pulito, di buona persistenza aromatica. Bella mineralità che si contrappone alla morbidezza di questo vino che nel finale regala note balsamiche. Vinificazione in acciaio, prezzo sui 7€. Un bel tagliere di salumi o una pasta con un ragù di carne/salsicce sono il mio abbinamento consigliato per aperitivo e primo piatto.

Terranera, Rosso Riserva del Conte 2013, Conte Spagnoletti Zeuli. Vigneti in zona Castel del Monte, Uve di Nero di Troia 70%, Aglianico 15%, Montepulciano 15%. Amarene sotto spirito, cioccolato, castagne, sottobosco, spezie dolci, balsamico, mentolato. In bocca i piccoli frutti rossi ricordano una confettura fatta in casa. Tannini e acidità ben presenti e armonici. Caldo, robusto, pronto e ottimo già così, può ulteriormente evolversi con eleganza nei prossimi anni. È un gran bel vino, amichevole ed elegante allo stesso tempo. Affinato in Barrique per 12 mesi, prezzo sui 17€. Lo abbinerei ad un secondo piatto, ad esempio una tagliata di manzo con funghi porcini.

Questi due vini mi hanno confermato ancora una volta la qualità dei vini pugliesi che sempre più si presentano in modo raffinato e mantengono un’ottimo prezzo di vendita.

E voi con cosa avete ‘innaffiato’ il vostro ferragosto?

Luca Gonzato

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