Categoria: degustazione

Buonissimo compleanno

Per i suoi 54 anni, l’Associazione Italiana Sommelier, delegazione di Milano, ha organizzato un banco di degustazione strepitoso, con oltre 100 cantine italiane. Un regalo davvero apprezzato da tutti i soci. Non pensavo che ne avrei scritto un post ma alcuni dei vini erano così buoni che me ne sono innamorato e voglio farveli conoscere.

SPUMANTI

Lombardia, Franciacorta Brut Millesimo 2013 Freccianera dei  Fratelli Berlucchi. L’uvaggio è 80% Chardonnay, 10% Pinot bianco, 10% Pinot Nero. Affina 55 mesi sui lieviti. Il costo è sui 22€. L’ho trovato ‘magico’. Grande armonia e lunghezza in questo spumante per le grandi occasioni.

Lombardia, Franciacorta Brut Nature, Mosnel, 24 mesi sui lieviti, Chardonnay 70%, Pinot Bianco 20%, Pinot nero 10%. Altro grande Franciacorta che sorprende sempre per la personalità che esprime. Affinamento 24 mesi. Costo sui 20€. Il biglietto da visita da presentare a casa degli amici.

BIANCHI

Dal Friuli Venezia Giulia la Malvasia istriana Soluna 2017 di Livon. Malvasia istriana 100%. Costo sui 15€. Una malvasia senza compromessi, piace oppure no. Io l’ho trovata fantastica. Le uve appassiscono una decina di giorni, macerazione a freddo e fermentazione in acciaio. Costo sui 15€. Rock n’ Roll.

Dall’Alto Adige il Manna 2017 di Franz Haas. Da 5 tipi di uve vinificate separatamente e poi assemblate. Riesling Renano 40%, Chardonnay 20%, Gewurztraminer 15%, Kerner 15%, Sauvignon 10%. Il costo è sui 20€. Una sinfonia di aromi. Lo vedrei bene in una cena romantica, magari al primo appuntamento. Un vino che conquista. 

Dalla Campania, il Greco di Tufo Giallo d’Arles 2018 di Quintodecimo. Uve Greco 100%. Ennesima conferma da questo bianco tra i miei preferiti. Bello assaggiarlo adesso, ancora giovane, ed apprezzarne la fragranza del frutto. Costo sui 35€. Una garanzia di bontà.

ROSATI

Dall’Abruzzo, il Cerasuolo d’Abruzzo Villa Gemma 2018 di Masciarelli. Uve Montepulciano 100%. Costo sui 10€. Mi è piaciuto un sacco trovare le caratteristiche del Montepulciano in una forma così delicata e godibile. 

Dalla Puglia il rosé 2018 Girofle di Severino Garofano. Uve Negramaro 100%. Costo anche lui sui 10€. Piccoli frutti rossi e melograno che danzano nel palato.

ROSSI

Il miglior vino in assoluto assaggiato oggi: Tenuta Sette Ponti Vigna dell’Impero, bottiglia numero 03230/12688. Un Sangiovese in purezza da vigne di oltre 80 anni. La tenuta si trova in Valdarno. La Vigna dell’Impero risale al 1935, fu fatta piantare da S.A.R. Emanuele Filiberto di Savoia Conte di Torino, su richiesta del cugino S.A.R. Amedeo d’Aosta, Vice Re d’Etiopia, per festeggiare e ricordare la vittoria italiana in Abissinia. Sono 3 ettari a terrazzamenti interamente costruiti a mano. Il vino è un concentrato di tutto quello che si può desiderare in un rosso. Armonia, corpo, tannini vellutati, ampio bouquet aromatico, piacevolezza e persistenza. Affina due anni in botte grande. Epico. Online il costo di questa bottiglia è sugli 85€, è così buono che non mi sento di dire che costa troppo.

Sempre dalla Toscana e sempre Sangiovese, il Brunello di Montalcino 2012, Tenuta Col d’Orcia. Affina in barrique per 4 anni. Costo sui 30€. Il rosso da mettere in tavola con una gigantesca fiorentina.

Dall’alto Piemonte, nel Novarese, il Boca 2015 Le Piane. Uvaggio di Nebbiolo 85% e Vespolina 15%. Affina 36-48 mesi in botte grande. costo sui 50€. Ventaglio aromatico strepitoso. Adorabile sotto ogni punto di vista.

Sempre in Piemonte, da uve Nebbiolo al 100% il Barolo Ravera 2011 di Cogno. Affina 24 mesi in botte grande. Costo 50/60€. Un Barolo che all’austerità preferisce l’eleganza, gran corpo ed armonia.

Dalla Basilicata un grande Aglianico del Vulture Superiore, della casa vinicola Armando Martino. Da uve 100% Aglianico del Vulture. Affina circa un anno in barrique e almeno un’altro in bottiglia. Il costo si aggira sui 35€. Anche questo grandioso nella parte aromatica, eccellente.

È sempre bello festeggiare i compleanni, soprattutto quelli degli altri. 

Grazie Ais e grazie ai produttori!

Luca Gonzato

Chenin Blanc lover

Ci sono due vini bianchi fermi che amo particolarmente per l’estate. Uno è il Petite Arvine, tipico della Valle d’Aosta, e l’altro è lo Chenin Blanc, vitigno francese che si trova anche in Sudafrica ma il suo terroir d’eccellenza è la Loira. La bottiglia che vi presento arriva proprio dalla Valle della Loira, da Anjou. Si tratta del Les Quarterons Blanc 2016 del Domaine Amirault. Vino biologico certificato e biodinamico da uve di Chenin Blanc al 100%. Ha un bouquet olfattivo davvero ricco con note evolutive interessanti. Fiori di campo, agrumi, camomilla, albicocca, mandorla. In bocca si confermano gran parte dei profumi e si percepisce una pesca gialla polposa. Il finale è fresco, lungo, riporta gli agrumi, la scorza di limone. L’acidità rende questo vino godibilissimo. Uno Chenin di corpo con profumi delicati ed eleganti. Il volume alcolico è del 13%. È davvero buono. Senza dubbio ne vorrei avere una cassa sempre disponibile in queste serate afose. Perfetto ad accompagnare un aperitivo/cena che tradotto vuol dire: tirate fuori quello che avete in frigo, trasferitevi in terrazza o in cortile e godetevi la serata con questo Chenin Blanc. 

Ps. per essere un vino bio/dinamico fermentato con lieviti autoctoni è davvero ‘figo’, elegante. Nessun profumo anomalo che spesso accompagna i vini “naturali“. Obbligatorio il secchiello con il ghiaccio per mantenerlo fresco e gustarselo fino all’ultima goccia.

Luca Gonzato

MiVino 2019

Alla mostra mercato dei vignaioli e dei vini biologici e naturali di Milano. Eccomi di nuovo nel grande spazio sociale Base in via Bergognone. Sono un centinaio gli espositori presenti. Si può degustare ed acquistare direttamente. Sono quasi tutti dei piccoli produttori che per la maggior parte non conosco. Questo aspetto è un vantaggio, mi consente di muovermi tra i banchi con la medesima curiosità.

Appena entrato cerco con gli occhi le bottiglie con gabbietta e i bianchi, giusto per iniziare con i vini più leggeri, ma a catturare la mia attenzione sono il sorriso e gli occhi chiari di Lina della cantina Cascina Bandiera. Leggo Derthona su una bottiglia e penso al vitigno Timorasso e alla zona del Tortonese. Si mi fermo. Lina mi propone una mini verticale di uno dei loro vini bianchi, il Sansebastiano. Non vuole dirmi il vitigno, provo a nominare i bianchi tipici piemontesi e lei sorride scuotendo la testa. Versa il primo vino, annata 2015. Si sentono note che via via diventeranno più evidenti e una notevole sapidità, ma qui siamo ancora a profumi giovani di limone e fieno. Poi la 2014 e la 2013, si sente il corpo che prende forma e gli aromi si intensificano. Mi ricorda anche il Timorasso per certe note minerali ma non lo è. Arriviamo alla 2007 e alla 2006 con Lina che mi spiega di quanto tempo abbiamo bisogno questi vini bianchi per esprimersi. Annuso, assaggio e cerco di ricordare cosa mi ricorda. C’è sempre un minimo di imbarazzo e paura di dire una grande fesseria di fronte a chi quel vino l’ha fatto, ma Lina è una persona che percepisci subito come ‘amica’ e quindi mi lascio andare dicendole che mi ricorda certi Chablis e a questo punto annuisce. In testa esclamo ‘cazzo è lo Chardonnay’ e le dico che è veramente buono, che di fronte alla banalità di tanti Chardonnay questo ha una personalità incredibile. Le ultime due annate sono strepitose, corpo, rotondità, frutto giallo maturo, miele e soprattutto questa vena sapida e minerale. Un bianco di grande complessità che nell’annata più lontana, la 2006, trova la sua migliore espressione. Sarà poi una delle tre bottiglie che acquisterò a fine giornata. A questo punto assaggio anche il Derthona 500 nelle annate 2016, 2015 e 2013. Grandi anche questi e allo stesso tempo bisognosi di lungo affinamento. Però c’è tutto, compresi quei bei sentori che riportano agli idrocarburi che sono tipici dei vini da uve Timorasso. Un vitigno riscoperto qualche anno fa e che tra gli appassionati è un cult. Se vi piace il Riesling renano ma non conoscete il Timorasso provatelo, purché abbia qualche anno sulle spalle di affinamento. Peccato che Cascina Bandiera produca solo 3000 bottiglie totali dei loro tre vini. Hanno anche un interessante Pinot Nero, il Castelvero. 

Bell’inizio, mi piace già questa fiera dove oltretutto, come Sommelier Ais, ho usufruito di uno degli ingressi gratuiti. Guardo intorno su quale banco spostarmi e individuo Eraclio, un amico assaggiatore Onav accompagnato a sua volta da due suoi amici e mi unisco a loro. È più divertente degustare in compagnia ed infatti la giornata passerà in un lampo tra un calice, un’osservazione tecnica e una risata.

Proviamo a dare un senso alla degustazione andando ad assaggiare gli Spumanti metodo classico di Colle San Giuseppe. Siamo in zona di Mompiano (BS), da cui prendono il nome queste bollicine. Testiamo con piacere il Brut (2 anni sui lieviti), il Pas Dosé (30 mesi) e la Riserva Pas Dosé (60 mesi). Pas Dosé significa che non ha residuo zuccherino, il più secco nella classificazione degli spumanti. Questi sono tutti ottenuti da uve Chardonnay e Pinot bianco, fermentate con lieviti autoctoni. Apprezziamo molto i Pas Dosé, affilati come lame e ricchi di aromi. Nella Riserva si percepisce una piacevole avvolgenza e morbidezza che si bilancia perfettamente con la punzecchiatura alla lingua delle bollicine. Gran bel  Franciacorta!, ops, non si può dire e nemmeno lo è, siamo fuori dall’area della denominazione ma in fondo molto vicini per quanto riguarda la qualità del risultato. Poi vedo la scritta Nebbiolo e rimango sbalordito, come? …mi raccontano del precedente proprietario che, amante dei nebbioli di Langa, aveva deciso di impiantarlo e così hanno continuato a produrlo. Al diavolo la sequenza assaggiamolo. Niente male, elegante e dai profumi puliti di piccoli frutti rossi, il tannino è ancora vivace in questa bottiglia del 2012, del resto il Nebbiolo è un vino che si apprezza sulla lunga distanza. 

Dalla Lombardia passiamo alla Calabria per assaggiare i vini di Cirò (Kr) della cantina Brigante. Tante belle espressioni del vitigno Gaglioppo. Ci cattura in primis il color rosa cerasuolo intenso e brillante del Manyari, tanta fragranza e intensità aromatica. Segue l’altro rosato, lo Zero, dal bel packaging in carta che avvolge la bottiglia. Zero perchè ha zero solfiti, zero lieviti selezionati e zero filtrazioni. Un vino vero, di sostanza, che però è anche bello da vedere e verrebbe voglia di portarlo a qualche cena milanese di fighetti che si presentano con lo ‘champagnino’ rosé da 300€. Pam, sul tavolo, un po’ come Chef Rubio quando si piazza a tavola nelle locande per camionisti. E se poi compare il sapientone di turno che alza il sopracciglio con sufficienza esclamando ’no io bevo solo rossi’, potresti sfoderare una bottiglia di 0727 Cirò Classico Superiore. Muti tutti perchè è davvero tanta roba. Quelle tartine anemiche del buffet dovrebbero sparire e lasciar posto a salamelle e costine alla brace. …bello il ricordo di questo vino ma mi mangio le dita per non essermi portato a casa una bottiglia.

Seguono vari assaggi che tralascio e arrivo alla cantina Terre di Gratia di Camporeale (PA), tra le migliori in assoluto di oggi. Tutti i suoi vini mi sono piaciuti. Dal Cataratto, fresco e fruttato, al Rosé Dama Rosa da uve Perricone che ci ha fatto immaginare abbinamenti con pesce crudo. Gran rosé che abbiamo apprezzato ancor di più per il fatto che poco prima ne avevamo assaggiato uno terribile al gusto solforosa (sarà solo quella cantina tra tutte a deludere, ma non vi dico quale era). Proviamo anche i rossi, un bel Syrah con sottili note speziate e un Nero d’Avola in cravatta da mettere su una tovaglia bianca ad accompagnare sottili fette di roast beef. C’è poi il Perricone in purezza (altro vino acquistato), tanto tanto buono ed unico come caratteristiche gusto-olfattive. Uno degli aromi ricorda il rabarbaro, quello delle caramelline quadrate che, non si sa come, hanno imperversato per anni in tutta la penisola. Su questo vino dico solo che lo metto sul podio dei rossi bevuti oggi. Ne parlerò prossimamente quando degusterò con calma la bottiglia acquistata (stay tuned). 

Altra interessante realtà scoperta è quella di Cà del Prete con i giovani e ‘un pochino folli’ ragazzi che si sono inventati un metodo classico a base Barbera. Cavoli, ti fa sorridere, ma non per la stravaganza, quanto per il risultato che è molto più che piacevole. C’è la bellezza del fruttato rosso fragrante tipico della Barbera associato all’anidride carbonica che lo esalta e alle note di pane sullo sfondo. Ottimo anche il rosato Malvé frizzante extra dry.

Gli ultimi assaggi li ho dedicati ai vini con residuo zuccherino. In particolare segnalo l’ottima Malvasia, sia secca che passita, di Fenech Francesco dell’Isola di Salina. Poi volevo assaggiare i Sauternes della cantina francese Chateau Pascaud ma c’era la fila e quindi mi sono spostato all’ultimo banchetto, quello di una cantina di Pantelleria. Gran scelta perchè vi ho trovato il Bagghiu, un gran Zibibbo passito, dagli spiccati aromi di albicocca e miele. La Cantina produttrice è quella di Antonio Gabriele… è così che la terza ed ultima bottiglia è finita nello zainetto. 

MiVino è stata una gran bella manifestazione che spero si ripeta l’anno prossimo. C’è sempre sete di vini sani e naturali come questi, poi la possibilità di conoscere tanti piccoli produttori con le loro perle vinicole non ha prezzo. Bravi agli organizzatori! Però la prossima volta non dimenticate di dare una sacchetta porta calice, perchè è comoda e utile per chi vuole scattare una foto o prendere un appunto senza avere il calice tra le mani.

Luca Gonzato

Verticale Solaia Antinori

2004 – 2005 – 2006 – 2009 – 2013 – 2015

Sei annate del celebre vino toscano

Cosa c’è dietro un vino valutato 100/100? Questa è la domanda che mi ha spinto ad iscrivermi alla serata organizzata da AIS Milano.

La risposta arriva ancor prima di assaggiare i vini. Dietro ogni eccellenza c’è la passione e la cura estrema di ogni dettaglio. Nel caso del Solaia si traduce in un percorso di passione e ricerca che dura da ventisei generazioni di Antinori, Vinattieri dal 1385. 

Solaia è la punta di diamante tra i vini di Marchesi Antinori. È prodotto nella Tenuta Tignanello, nel Chianti Classico, su colline tra i 200 e i 400 metri di altezza, in una porzione di vigneto su una micro collina che ricorda la forma di un panettone, completamente soleggiata durante il giorno e chiamata per questo Solaia. Il terreno è stratificato con i primi 80 cm prevalentemente di pietra alberese, un calcare marnoso che consente un buon drenaggio dell’acqua, seguiti da uno strato argilloso più profondo che garantisce una riserva d’acqua per i periodi secchi. Ogni metro di vigna è conosciuto e curato con il massimo dell’attenzione.

Il Solaia è relativamente giovane come età, la prima annata risale al 1978. Nato dalla volontà di creare un vino che potesse competere con i blasonati vini francesi di Bordeaux e quelli americani della Napa Valley in California. L’enologo degli inizi era il famoso Giacomo Tachis. L’uvaggio dell’epoca prevedeva un 80% di Cabernet Sauvignon e il 20% di Cabernet Franc. Nei primi anni ’80, è stato aggiunto il Sangiovese per dare un’impronta tipicamente italiana che lo distinguesse dagli altri (francesi del Medoc). Si è arrivati all’attuale uvaggio del 75% di Cabernet Sauvignon più 20% di Sangiovese e 5% di Cabernet Franc. La Tenuta Tignanello era la più frequentata dalla famiglia Antinori ed anche per questo era il luogo più incline alla sperimentazione e al perfezionamento. Uno dei perfezionamenti apportati fu quello di affinare separatamente il Cabernet e il Sangiovese. Nel 2000 il Solaia dell’annata 1997 viene giudicato miglior vino al mondo da James Suckling, Wine Spectator, James arriverà a spostare la sua residenza dalle colline bordolesi a quelle toscane. A Marchesi Antinori il merito d’aver intuito che il Cabernet e il terreno che aveva a disposizione potevano dare un grande risultato. C’è poi l’utilizzo della barrique e la capacità di usarla nel migliore dei modi. Nel 2001, Renzo Cotarella, amministratore delegato, agronomo ed enologo della Marchesi Antinori, viene eletto miglior winemaker del mondo da Wine Enthusiast. Nel 2007 viene fatto un ulteriore passo in avanti con il rifacimento dei vigneti e l’impianto dei migliori cloni di piante in relazione ai terreni di Tignanello. Basta guardare sul sito Antinori per capire come sono state le annate di Solaia dal 2007 ad oggi, tutte sopra i 90 punti, giudicate con il massimo punteggio da numerose guide specializzate ed esperti degustatori. Come un campione sportivo che cura ogni dettaglio della sua performance agonistica, anche il Solaia viene realizzato con lo stesso livello di attenzione. Basti pensare che si è arrivati ad una scelta di barrique specifiche in base all’annata, ordinate dopo la vinificazione. Insomma non è un caso il voto di cento/centesimi di Wine Advocate e James Suckling per l’annata 2015 in commercio. Ci sarebbe da dire tanto altro sulla storia di Marchesi Antinori, dell’altro vino super premiato, il Tignanello, speculare al Solaia ma con l’80% di Sangiovese, poi le tenute sparse per la Toscana, in Umbria, Puglia, California, Cile… ma è il momento di passare alla degustazione. C’è sempre il loro sito per chi vuole saperne di più.

Ora che ho scoperto cosa c’è ‘dietro’ vorrei anche capire se 125€ valgono l’assaggio di sei calici riempiti neanche per metà. Ho già l’ansia che ogni sorso mi calerò giù 5 euro, poi cavolo ho di fianco uno che puzza d’aglio, maledetto, non ho il coraggio d’alzarmi e cambiare posto, la sala è piena. Ok concentrazione, resettiamo l’aglio, non esiste. A presentare l’azienda è stato il direttore della tenuta di Tignanello Stefano Carpaneto, in Antinori dal 2002. A guidare la degustazione è il Sommelier degustatore AIS Francesco Albertini.

Solaia 2004: Annata buona per quantità e qualità. Potenza, ricchezza, esuberanza. Qualità che in quegli anni erano ben recepite. Frutto ancora percepibile, mirtillo, ribes nero, nota di petalo di rosa. Speziatura, cannella, noce moscata, legno di sandalo. Eucalipto, pepe nero. Tannino dolce, cioccolato. Lunghissimo. Ancora vivace nel carattere, nell’eccellenza pecca un pochino di raffinatezza a mio giudizio.

Solaia 2005: Clima complesso durante l’anno, freddo e piovoso con maturazione lunga, produzione scarsa con cernita delle uve. Si riflette nel vino nella sua verticalità con tannino affilato. Il fruttato è più acidulo. Note di chinotto, agrumi, leggero floreale. Nota ematica, sottobosco, humus. Spezie, noce moscata, curcuma. Grande persistenza e ritorno balsamico. Non l’ho apprezzato granché.

Solaia 2006: Si cambia registro, è da subito ‘wow’. Oltre alla potenza si percepisce in modo netto l’eleganza. Componenti aromatiche fruttate e floreali, spicca una nota di alloro, poi carruba, cioccolato, spezie, macchia mediterranea, rabarbaro. Grande finezza, un’impronta simile ai migliori bordolesi. Tannino dolce, cioccolatoso. Questo assaggio compensa i precedenti. Infinito.

Solaia 2009: Annata lunga, maturazione lenta. Il vino dei ’10 anni’, quello che per molti appassionati è il tempo ideale di affinamento per vini di questo livello. In effetti si presenta con grande fascino e profumi intensi di visciole, susina, arancia sanguinella. Bella anche la componente floreale di viola, rosa, lavanda. Erbe aromatiche, menta, salvia e una delicata nota di canfora. In bocca è succoso, invitante. Tannini sottili, eleganza. Luminoso e fantastico.

Solaia 2013: Buona vendemmia, si è distinta in cantina con un utilizzo di legni specifici di una nuova tonnellerie. Elegante e fine. Mirtillo, ribes, legni aromatici. Balsamico con profumi di timo, violetta, lavanda. Vigoroso in bocca. Pur di gran qualità l’ho apprezzato meno rispetto ad altri.

Solaia 2015: Viene definita la miglior annata mai prodotta. Clima adeguato, vendemmia fatta con calma, belle uve. Si aveva la percezione che ne sarebbe uscito un grande vino. L’impatto olfattivo è sorprendentemente floreale, rosa, iris. Poi i piccoli frutti neri, ciliegia, arancia rossa. Note balsamiche eleganti, qualcosa di piccante. Dolcezza di spezie, cioccolato, liquirizia. Grande equilibrio e armonia. Fine, lunghissimo con un ritorno di frutti freschi. Spettacolo.

Aldilà del 100/100, anche il meno esperto dopo aver deglutito il Solaia 2015 percepisce la qualità superiore di questo vino. Non sono certo al livello del degustatore Albertini che riesce a trovare una quantità esagerata di percettori ma riesco a capire quando mi trovo di fronte a vini eccellenti e questo lo è. Esprime un’armonia ed una eleganza unica. Piacevolezza e personalità al 100%. 

Le bottiglie prodotte di Solaia 2015 sono state 88.000. La produzione totale di Antinori è di 25 milioni di bottiglie. Il costo del Solaia 2015 è di circa 240€ a bottiglia (sempre che si riesca a trovare). Io non posso permettermelo, ma di certo lo vorrei avere in cantina, almeno una bottiglia da assaggiare con calma, per tutta la serata, con e senza cibo, appena stappato e dopo due ore quando è completamente cambiato. Il Solaia merita tanta cura e attenzione, anche da chi lo degusta.

Luca Gonzato

Il vino del parroco

Barbaresco 2003, Cantina Parroco di Neive, Cru Gallina.

Piemonte, Langhe, Nebbiolo 100%. La Cantina è l’Azienda San Michele, fondata nel 1973 dall’arciprete don Giuseppe Cogno parroco di Neive, insieme ad altri 3 viticoltori. Stappo con cautela questa bottiglia con oltre 15 anni di vita, ho sempre il timore di difetti dovuti al tappo o alla cattiva conservazione. Il tappo è integro e non presenta profumi anomali, ho aperto la bottiglia una mezz’ora prima di metterla in tavola. Colore rosso granato, aranciato nell’unghia, discretamente luminoso, come il sole di questa domenica invernale, il massimo che ci si possa aspettare da un vino di questa età.  Il profumo è fine ed elegante, di viola, con sentori dolci di caramello, se lo si sveglia dal torpore, roteandolo nel calice, sprigiona quelle note tipiche che mi aspettavo da un Barbaresco del Cru Gallina di Neive, cioè sottobosco, humus, qualcosa di selvaggio, potenza.

L’ingresso è fresco ed elegante, si impongono gli aromi di frutti rossi macerati, prosegue con note dolciastre di legno, vaniglia. Morbido, concentrato, caldo (14,5% Vol.), con tannini ben presenti seppur integrati, stringe l’interno delle labbra sui denti. È perfetto ad accompagnare l’ossobuco alla milanese, untuoso e grasso. Il finale regala sensazioni dolci di cioccolato e note balsamiche. Persistente nei toni dolci, rotondo ed opulento, quasi da meditazione. Dalle cronache delle Langhe, l’annata 2003 risulta essere stata molto calda, con i grappoli più esposti scottati dal sole. Si percepisce una notevole concentrazione di aromi in questo vino, in qualche modo ricorda alcuni rossi da uve passite. Un Barbaresco ottimo ed in splendida forma, gran domenica insieme.

Luca Gonzato

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