Categoria: Syrah

Aria di Caiarossa 2015

Succede di stappare bottiglie difettate, non faccio nomi, poi per non rischiare si sceglie una bottiglia di qualità dove il rischio si abbassa notevolmente. E finalmente si gusta un ottimo vino, l’Aria di Caiarossa 2015.

È un blend di Cabernet Franc, Merlot, Syrah e Cabernet Sauvignon. dagli aromi di more, mirtilli e sottobosco, con note di affinamento in legno e sentori balsamici. I tannini sono ben integrati e si accoppiano alla morbidezza alcolica del 14%. Bella lunghezza e perfetto con con le costine alla brace con cui l’ho degustato. Gran vino da viticoltura biodinamica, fermentato con lieviti indigeni ed affinato 14 mesi tra barrique e tonneau per poi passare 6 mesi in cemento prima dell‘imbottigliamento. 

Caiarossa è a Riparbella, in Val di Cecina, a metà strada tra Volterra e Pisa. 

I festeggiamenti iniziano oggi. Buona festa della Repubblica!

Luca Gonzato

Roma doc 2018

Nome ed etichetta di questo vino esercitano innegabilmente una forte attrazione. L’ho scelto online e mi sono immedesimato nel turista a Roma, che magari lo acquista come souvenir. Lo so è una stupidata ma ha suscitato la mia curiosità sulla qualità e la rappresentatività che poteva trasmettere. Da appassionato sono anche consapevole del valore che ha il territorio romano per la viticoltura, sia per la conformazione di origine vulcanica del suolo, che per il merito dei romani d’aver diffuso la vite in tutto l’impero. Il suolo di tufo, ricco di minerali come potassio, fosforo e zolfo, trasmettono al vino quella tipica mineralità che si trova nei vini ‘vulcanici’. Nello specifico di questo vino ci troviamo nella zona dei Castelli Romani, nel regno del Frascati. Il produttore è l’Azienda Agricola Poggio le Volpi, fondata nel 1996, con sede nel comune di Monte Porzio Catone. 

Il Roma rosso, 2018, nel calice è sanguigno nel tono, si muove lento e consistente. I profumi esprimono rotondità, morbidezza, calore. Le note di piccoli frutti rossi sotto spirito si uniscono a quelle speziate dolci con richiami alla vaniglia, poi il cuoio, il pepe… L’ingresso è vellutato e imponente.  La sensazione minerale fa da cornice e rende il vino intrigante e non banale. Riguardo all’uvaggio, penso al corpo avvolgente del Montepulciano che si sposa con la struttura del Cesanese e alla speziatura del Syrah. Tre uve che rappresentano bene anche la ‘Romanità’, il Cesanese nella sua tipicità laziale, il Montepulciano per l’Italianità, (secondo solo al Sangiovese) e il Syrah come internazionalità, che potrebbe essere un ricordo di quella Roma caput mundi che l’ha resa famosa nel mondo. In sintesi, ho trovato le risposte che cercavo. Lo trovo un buon vino, con le caratteristiche per farsi piacere a palati differenti mantenendo però una bella personalità. Un vino dal cuore italiano, anzi romano, capace di parlare un linguaggio internazionale.

Il vestito è bello ed anche il vino. Roma doc rosso, visto da Milano, 28 aprile 2020.

Luca Gonzato

Châteauneuf du Pape

L’ultima tappa del mio Wine Summer Tour 2019 è nella Valle del Rodano, poco sopra Avignone, in un comune il cui solo nome evoca grandi vini, Châteauneuf du Pape. Regno del vitigno Grenache (da noi lo chiameremmo Cannonau, in Spagna Garnaccia), che insieme ad altre varietà dà origine a vini di grande personalità.

La cittadina, con il suo castello, è stata residenza estiva dei Papi di Avignone. Del Castello, che si trova in cima alla collina, ne è rimasta intatta solo una facciata. Da lì si può vedere il Rodano che scorre placido nella vallata, a nord il panorama è una distesa di vigneti.

Salendo al Castello si può visitare la bella cantina sotterranea di Verger Des Papes, oltre 200mq scavati nella roccia e una cinquantina di etichette di varie annate che si possono acquistare. In uno degli anfratti c’è una piccola saletta con gabbie metalliche, etichettate con i nomi dei proprietari, in cui sono custodite bottiglie d’epoca. La visita è gratuita.

Il paese si percorre facilmente a piedi, c’è solo l’imbarazzo della scelta sulla cantina dove fermarsi a degustare. All’ufficio del turismo è disponibile una mappa dei vignerons, sia in paese che in tutta l’area della denominazione.

In visita alla cantina Moulin-Tacussel ho degustato come primo vino uno Châteauneuf du Pape Blanc 2018 composto da Grenache blanc 40%, Roussanne 30%, Clairette 10%, Bourbulenc 10%, Picpoul 5% e Picardan 5%. Vinificato in acciaio. Un bianco prodotto in sole 1500 bottiglie che faccio fatica a decifrare in quanto ero già settato per assaggiare i rossi e questo è stato una sorpresa. Una bella sorpresa, visto che mi è piaciuto per la complessità aromatica. Mi ha ricordato un viticoltore del Collio che raccontava della tradizione di vinificare insieme le uve bianche delle proprie vigne nelle quantità che avevano disponibili. Il secondo vino è un Châteauneuf du Pape rosso del 2015, l’uvaggio è di Grenache noir 70%, Mourveèdre 10%, Syrah 10% e il restante suddiviso tra Cinsault, Counoise, Muscardin e Vaccarèse. Vino affinato in barrique seminuove. Un rosso importante con ancora belle note fragranti e note di tostatura. Il terzo vino è l’Hommage à Henry Tacussel, lo Châteauneuf du Pape dedicato al fondatore, è un Grenache al 100% dalle vigne storiche nelle migliori parcelle. Armonico e completo, affina in barrique per un anno. Un gran vino di cui riparlerò in un prossimo articolo dedicato.

La seconda fermata d’assaggio l’ho fatta in una piccola Cave sulla strada principale. Nel calice un Lacoste-Trintignant, Cuvée des Jeune Filles 2016, Grenache 100%, molto intenso nella parte aromatica e di gran corpo, forse pecca un pochino in finezza. Per la cifra a cui viene venduto (oltre 60€) mi aspettavo qualcosa di più armonico. L’altro vino, la Reserve Cardinalys era invece eccellente, però guardando il listino ho notato che costava oltre 90€. A quel punto ho guardato meglio e nessuno dei vini era venduto sotto i 50€. Di solito acquisto almeno una bottiglia se faccio una degustazione gratuita ma in questo caso ho preferito alzarmi, ringraziare e uscire.

Poi, per grazia, sono finito al punto vendita del Domaine Père Caboche. Qui ho trovato una gentilissima signora che mi ha fatto conoscere i loro vini partendo da uno Châteauneuf du Pape rosso nelle annate 2016 e 2017 con uvaggio di Grenache 70%, Syrah 15% e Mourvèdre 5%. Aromi di frutti di bosco, spezie e un tannino integrato. Bel vino che ho preferito nell’annata 2017. Anche per l’altro vino propostomi, nelle annate ’16 e ’17, lo Châteauneuf du Pape Elisabeth Chambellan, ho preferito il 2017. In questo secondo, l’uvaggio è diverso, 13 i vitigni usati. La parte del leone la fa ovviamente la Grenache con l’88%, poi un 10% di Syrah e infine gli altri (Mourvèdre, Cinsault, Clairette, Vaccarèse, Bourboulenc, Roussanne, Grenache Blanc, Counoise, Muscardin, Grenache gris e Terret noir). Un vino generoso, con sentori di confettura e fiori passiti, toni di cuoio e legni pregiati. Profondo, lungo. In questa cantina ho potuto acquistare un paio di bottiglie a cifre ragionevoli sui 25/30€.

In conclusione, Châteauneuf du Pape vale una sosta sia per la visita al castello da cui si può godere del panorama, sia per qualche assaggio e acquisto. Avendo più tempo sarebbe sicuramente interessante visitare e degustare nelle cantine fuori dal centro abitato e poi spostarsi verso nord seguendo il corso del Rodano. Ci vorrebbe una vacanza intera solo per questa zona e non mezza giornata come è successo a me.

Luca Gonzato

Languedoc-Roussillon: il Minervois

Nel Minervois, zona vinicola (Aoc-Aop) del Languedoc-Roussillon, la regione a sud della Francia che arriva fino alla Spagna. Il Minervois, posto ad una cinquantina di chilometri dal mare, fa parte del dipartimento dell’Aude (fiume che l’attraversa).

Il Canal du Midi a Homps

A poca distanza dall’Aude, passa il ‘Canal du Midi’ (patrimonio mondiale Unesco), che è anche chiamato ‘Canal des Deux Mers’ (canale dei due mari) perché collega l’Atlantico al Mediteraneo. Nella prima parte il collegamento è attraverso il fiume Garonne e da Tolosa al Mediterraneo con il Canal du Midi.

I terreni del Minervoise sono di ciottoli, arenarie, scisti o calcari alternati a marna calcarea e arenaria. A nord-ovest, vicino a Caunes-Minervois, sono presenti vene di scisto e di marmo rosa. Il clima è mediterraneo con influenze oceaniche e inverni freddi. Le estati sono calde e con frequenti giornate ventose. I vini di questa denominazione sono tipicamente da uve di Syrah, Grenache e Carignan ma si può trovare anche del Mourvèdre, Cinsault, Terret, Aspiran e Piquepoul. Nei bianchi Marsanne, Roussanne, Maccabeu, Bourboulenc, Clairette, Grenache Blanc, Vermentino, Picpoul e Muscat petits grains.

Dei bianchi ho assaggiato uno Château de Ventenac, Minervois. Annata 2018, blend di Marsanne, Borboulenc e Muscat petits grains. In sottofondo ci sono le note floreali tipiche del moscato, ma in bocca, nei sentori retronasali, prevale un frutto estivo, il melone in particolare (sull’etichettta si parla di albicocca). È abbastanza leggero e di facile beva. Ideale con pesci grassi ma anche con le ‘mules’ (cozze) che qui si trovano dappertutto. 

Allo Château Vergel Authenac di Ginestas, piccola cantina dove alloggio in questo tour estivo della Francia, ho assaggiato un bianco e un rosso. La dimora conta solo su sei ettari vitati dati in gestione ma il proprietario che ha acquistato il podere circa otto anni fa, mi racconta che erano 250 gli ettari. La dimora è per buona parte dismessa e in attesa di ristrutturazione ma lascia intravedere un passato glorioso. Le premesse non sono granché ma assaggiando i vini capisco che queste poche vigne mantenute producono ancora qualcosa di speciale. Entrambi vengono vinificati in acciaio e poi imbottigliati. Il rosé è ottenuto da una breve macerazione di uve Grenache. Fresco e con un bel frutto rosso che ricorda la fragola. Il rosso è un Syrah 50%, Grenache 30% e Carignan 20%. Anche qui prevale la fragranza del frutto ma si può sentire del floreale di rosa e note di pepe bianco e note di tostatura, cacao e liquirizia. Armonico nel complesso, chiederebbe una ‘viande’ d’accompagnamento.

Nella cittadina di Homps, è presente la Maison du Vin e numerosi punti vendita dove si può acquistare vino, ci passa il Canal du Midi ed è meta turistica con il suo porticciolo dove attraccano i battelli in navigazione tra i due mari. Arrivando da Ginestas ci si inoltra verso nord, nell’entroterra, il paesaggio collinare è quasi completamente a vigneti.

Alla Maison du Port en Minervois, ogni giorno di questo periodo vacanziero (agosto), viene messa in degustazione una diversa cantina delle circa 50 presenti. Io ho trovato Château d’Agel e degustato i loro rossi. I primi due affinati in vasche di cemento e il terzo in barrique. Mi piacciono sempre i vini passati in cemento o anfora, mantengono i frutti freschi e regalano sensazioni minerali e di ampiezza gustativa. Questi sono vini da mettere in tavola ogni giorno, non troppo impegnativi ma molto piacevoli. Discorso diverso per ‘In Extremis 2014’, blend di Syrah 60% e Grenache 40%. Vino ottenuto dalle parcelle migliori, è grande, morbido ed armonico, dai frutti neri a note floreali di viola fino alle note del legno che lo rendono ampio. Un rosso per le grandi occasioni.

Sono poi stato, sempre ad Homps, nel punto vendita di Chateau Fauzan, azienda con 50 ettari, posta su un plateau argillo/calcareo a 350m slm, nel dipartimento dell’Aude e Hérault. Qui la degustazione è stata di tutta la linea di vini che producono. Come alla maison du Port ho trovato tanta gentilezza e disponibilità. Marie ha messo in fila le bottiglie e una dopo l’altra me le ha presentate.

Tutti ottimi vini ma a sorprendermi sono stati lo Chardonnay Bonelli 2016, elevato in barrique per 18 mesi. Gusto fresco, rotondo in bocca, lunghissimo. Non è un vitigno tipico della zona ma il risultato che ne hanno ottenuto è fantastico. Tra i migliori ‘bianchi’ assaggiati in questo tour. Poi il “La Balme 2014”, un Syrah 100%, affinato 18 mesi in legno, molto equilibrato con aromi di mora, pepe nero e cuoio. E il terzo, altro vitigno non proprio tipico della zona, un Pinot noir. Qui ci ritrovo tutta la finezza e l’eleganza che contraddistinguono questo vitigno. Sono davvero felice di portarmelo a casa e degustarlo prossimamente, con tutta la calma e la quantità necessaria (stay tuned).

Il mio passaggio nel Minervoise si conclude in un ristorante a La Somail, sul Canal du Midi. Per accompagnare la cena ho scelto un rosso, biologico, 2018, del Domaine des Maels. Assemblaggio di Grenache 33%, Carignan 33%, Syrah 33 %. Un vino ‘tosto’, con un volume alcolico del 14%. Frutti rossi polposi e note di affinamento di cacao, legni, liquirizia. Bel vino anche questo, robusto.

Non credevo di trovare dei rossi così ‘corposi’ nel Languedoc ed invece a contraddistinguerli è proprio la potenza che raggiungono. I suoli e il caldo estivo, che ho potuto sentire di persona, insieme alla vicinanza del mare e dei fiumi, fanno maturare le uve con molti zuccheri che poi si trasformano in un notevole volume alcolico. Questa Regione è un puzzle di terroir tutti da scoprire. Bello vedere le analogie tra questo territorio e quello della Sardegna dove si trovano due vitigni uguali ma dal nome diverso, il Cannonau (corrisponde alla Grenache), e il Carignano (Carignan).

Carcassonne

Nel Minervoise, a differenza di altre zone più rinomate, si possono trovare dei buonissimi vini a buon prezzo. Se avessi un’enoteca verrei sicuramente qui per un mese a selezionare i migliori. Altro motivo per visitare la zona è la cittadina di Carcassonne con la sua splendida città/fortezza medievale.

Luca Gonzato

MiVino 2019

Alla mostra mercato dei vignaioli e dei vini biologici e naturali di Milano. Eccomi di nuovo nel grande spazio sociale Base in via Bergognone. Sono un centinaio gli espositori presenti. Si può degustare ed acquistare direttamente. Sono quasi tutti dei piccoli produttori che per la maggior parte non conosco. Questo aspetto è un vantaggio, mi consente di muovermi tra i banchi con la medesima curiosità.

Appena entrato cerco con gli occhi le bottiglie con gabbietta e i bianchi, giusto per iniziare con i vini più leggeri, ma a catturare la mia attenzione sono il sorriso e gli occhi chiari di Lina della cantina Cascina Bandiera. Leggo Derthona su una bottiglia e penso al vitigno Timorasso e alla zona del Tortonese. Si mi fermo. Lina mi propone una mini verticale di uno dei loro vini bianchi, il Sansebastiano. Non vuole dirmi il vitigno, provo a nominare i bianchi tipici piemontesi e lei sorride scuotendo la testa. Versa il primo vino, annata 2015. Si sentono note che via via diventeranno più evidenti e una notevole sapidità, ma qui siamo ancora a profumi giovani di limone e fieno. Poi la 2014 e la 2013, si sente il corpo che prende forma e gli aromi si intensificano. Mi ricorda anche il Timorasso per certe note minerali ma non lo è. Arriviamo alla 2007 e alla 2006 con Lina che mi spiega di quanto tempo abbiamo bisogno questi vini bianchi per esprimersi. Annuso, assaggio e cerco di ricordare cosa mi ricorda. C’è sempre un minimo di imbarazzo e paura di dire una grande fesseria di fronte a chi quel vino l’ha fatto, ma Lina è una persona che percepisci subito come ‘amica’ e quindi mi lascio andare dicendole che mi ricorda certi Chablis e a questo punto annuisce. In testa esclamo ‘cazzo è lo Chardonnay’ e le dico che è veramente buono, che di fronte alla banalità di tanti Chardonnay questo ha una personalità incredibile. Le ultime due annate sono strepitose, corpo, rotondità, frutto giallo maturo, miele e soprattutto questa vena sapida e minerale. Un bianco di grande complessità che nell’annata più lontana, la 2006, trova la sua migliore espressione. Sarà poi una delle tre bottiglie che acquisterò a fine giornata. A questo punto assaggio anche il Derthona 500 nelle annate 2016, 2015 e 2013. Grandi anche questi e allo stesso tempo bisognosi di lungo affinamento. Però c’è tutto, compresi quei bei sentori che riportano agli idrocarburi che sono tipici dei vini da uve Timorasso. Un vitigno riscoperto qualche anno fa e che tra gli appassionati è un cult. Se vi piace il Riesling renano ma non conoscete il Timorasso provatelo, purché abbia qualche anno sulle spalle di affinamento. Peccato che Cascina Bandiera produca solo 3000 bottiglie totali dei loro tre vini. Hanno anche un interessante Pinot Nero, il Castelvero. 

Bell’inizio, mi piace già questa fiera dove oltretutto, come Sommelier Ais, ho usufruito di uno degli ingressi gratuiti. Guardo intorno su quale banco spostarmi e individuo Eraclio, un amico assaggiatore Onav accompagnato a sua volta da due suoi amici e mi unisco a loro. È più divertente degustare in compagnia ed infatti la giornata passerà in un lampo tra un calice, un’osservazione tecnica e una risata.

Proviamo a dare un senso alla degustazione andando ad assaggiare gli Spumanti metodo classico di Colle San Giuseppe. Siamo in zona di Mompiano (BS), da cui prendono il nome queste bollicine. Testiamo con piacere il Brut (2 anni sui lieviti), il Pas Dosé (30 mesi) e la Riserva Pas Dosé (60 mesi). Pas Dosé significa che non ha residuo zuccherino, il più secco nella classificazione degli spumanti. Questi sono tutti ottenuti da uve Chardonnay e Pinot bianco, fermentate con lieviti autoctoni. Apprezziamo molto i Pas Dosé, affilati come lame e ricchi di aromi. Nella Riserva si percepisce una piacevole avvolgenza e morbidezza che si bilancia perfettamente con la punzecchiatura alla lingua delle bollicine. Gran bel  Franciacorta!, ops, non si può dire e nemmeno lo è, siamo fuori dall’area della denominazione ma in fondo molto vicini per quanto riguarda la qualità del risultato. Poi vedo la scritta Nebbiolo e rimango sbalordito, come? …mi raccontano del precedente proprietario che, amante dei nebbioli di Langa, aveva deciso di impiantarlo e così hanno continuato a produrlo. Al diavolo la sequenza assaggiamolo. Niente male, elegante e dai profumi puliti di piccoli frutti rossi, il tannino è ancora vivace in questa bottiglia del 2012, del resto il Nebbiolo è un vino che si apprezza sulla lunga distanza. 

Dalla Lombardia passiamo alla Calabria per assaggiare i vini di Cirò (Kr) della cantina Brigante. Tante belle espressioni del vitigno Gaglioppo. Ci cattura in primis il color rosa cerasuolo intenso e brillante del Manyari, tanta fragranza e intensità aromatica. Segue l’altro rosato, lo Zero, dal bel packaging in carta che avvolge la bottiglia. Zero perchè ha zero solfiti, zero lieviti selezionati e zero filtrazioni. Un vino vero, di sostanza, che però è anche bello da vedere e verrebbe voglia di portarlo a qualche cena milanese di fighetti che si presentano con lo ‘champagnino’ rosé da 300€. Pam, sul tavolo, un po’ come Chef Rubio quando si piazza a tavola nelle locande per camionisti. E se poi compare il sapientone di turno che alza il sopracciglio con sufficienza esclamando ’no io bevo solo rossi’, potresti sfoderare una bottiglia di 0727 Cirò Classico Superiore. Muti tutti perchè è davvero tanta roba. Quelle tartine anemiche del buffet dovrebbero sparire e lasciar posto a salamelle e costine alla brace. …bello il ricordo di questo vino ma mi mangio le dita per non essermi portato a casa una bottiglia.

Seguono vari assaggi che tralascio e arrivo alla cantina Terre di Gratia di Camporeale (PA), tra le migliori in assoluto di oggi. Tutti i suoi vini mi sono piaciuti. Dal Cataratto, fresco e fruttato, al Rosé Dama Rosa da uve Perricone che ci ha fatto immaginare abbinamenti con pesce crudo. Gran rosé che abbiamo apprezzato ancor di più per il fatto che poco prima ne avevamo assaggiato uno terribile al gusto solforosa (sarà solo quella cantina tra tutte a deludere, ma non vi dico quale era). Proviamo anche i rossi, un bel Syrah con sottili note speziate e un Nero d’Avola in cravatta da mettere su una tovaglia bianca ad accompagnare sottili fette di roast beef. C’è poi il Perricone in purezza (altro vino acquistato), tanto tanto buono ed unico come caratteristiche gusto-olfattive. Uno degli aromi ricorda il rabarbaro, quello delle caramelline quadrate che, non si sa come, hanno imperversato per anni in tutta la penisola. Su questo vino dico solo che lo metto sul podio dei rossi bevuti oggi. Ne parlerò prossimamente quando degusterò con calma la bottiglia acquistata (stay tuned). 

Altra interessante realtà scoperta è quella di Cà del Prete con i giovani e ‘un pochino folli’ ragazzi che si sono inventati un metodo classico a base Barbera. Cavoli, ti fa sorridere, ma non per la stravaganza, quanto per il risultato che è molto più che piacevole. C’è la bellezza del fruttato rosso fragrante tipico della Barbera associato all’anidride carbonica che lo esalta e alle note di pane sullo sfondo. Ottimo anche il rosato Malvé frizzante extra dry.

Gli ultimi assaggi li ho dedicati ai vini con residuo zuccherino. In particolare segnalo l’ottima Malvasia, sia secca che passita, di Fenech Francesco dell’Isola di Salina. Poi volevo assaggiare i Sauternes della cantina francese Chateau Pascaud ma c’era la fila e quindi mi sono spostato all’ultimo banchetto, quello di una cantina di Pantelleria. Gran scelta perchè vi ho trovato il Bagghiu, un gran Zibibbo passito, dagli spiccati aromi di albicocca e miele. La Cantina produttrice è quella di Antonio Gabriele… è così che la terza ed ultima bottiglia è finita nello zainetto. 

MiVino è stata una gran bella manifestazione che spero si ripeta l’anno prossimo. C’è sempre sete di vini sani e naturali come questi, poi la possibilità di conoscere tanti piccoli produttori con le loro perle vinicole non ha prezzo. Bravi agli organizzatori! Però la prossima volta non dimenticate di dare una sacchetta porta calice, perchè è comoda e utile per chi vuole scattare una foto o prendere un appunto senza avere il calice tra le mani.

Luca Gonzato

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