Categoria: merlot

Chateau Latour a Pomerol 1993

La sorpresa di Pasqua è stata quella di poter degustare un vino con 27 anni sulle spalle. Una riserva speciale, da uno dei luoghi mitici per i winelover, Pomerol. Subito viene in mente Petrus ed infatti è sempre J.P. Moueix a gestire la produzione di Chateau Latour a Pomerol (proprietà del Foyer de Charité de Chateauneuf de Galaure). L’uvaggio è di Merlot 90% e Cabernet Franc 10%,  1993 l’annata. Alla stappatura, tolta la capsula, il tappo è risultato integro seppur intriso di vino e ammorbidito. Il colore è granato con una bella consistenza cromatica e riflessi rubini. È limpido e luminoso. Il profumo è complesso, fine, balsamico con piccoli frutti rossi in confettura, cacao amaro, tabacco. Il sorso è ancora fresco nell’acidità, si ritrovano gli aromi fruttati e un retrogusto mentolato. Il tannino è magnificamente integrato. È l’equilibrio e l’eleganza a rendere speciale questo vino. Mi sarei aspettato un corpo più robusto ed invece è ancora dinamico e vitale. Maturo e in forma come quei vecchietti che corrono le maratone. Avrebbe potuto tranquillamente raggiungere il traguardo dei 30 anni. Non è un caso questa longevità, è il Terroir, nel suo significato più esteso. Pomerol, ‘ça va sans dire’.

Argentiera 2012, l’oro in bocca

Il vino perfetto per accompagnare la decompressione lavorativa settimanale e per ricordarti che gusto ha un vino di qualità eccellente.

Tenuta Argentiera 2012, Bolgheri Doc Superiore.

La denominazione di Bolgheri, in provincia di Livorno (Toscana), è una tra le più famose al mondo. Qui prendono vita i vini che negli States chiamano Supertuscan e che fanno del loro uvaggio bordolese (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot), la loro essenza.

Tenuta Argentiera si trova a pochi chilometri dal mare, nel comune di Donoratico, nell’alta Maremma. Il mare lo si può vedere e soprattutto sentirne la brezza, dalle vigne da cui provengono le uve di questo vino, poste a 180/200 m/slm. L’esposizione dei filari è a sud-ovest, i terreni hanno componenti argillose con galestro e scisti, con zone più calcaree e sassose e sabbia nelle parti più basse. Come dire un poker d’assi per raccogliere uve vigorose ricche di polifenoli.

L’annata di questo Bolgheri è la 2012. L’uvaggio è di Cabernet Sauvignon 40%, Merlot 40% e Cabernet Franc 20%. Come vinificazione ha fatto una macerazione e fermentazione delle uve di quasi un mese, a cui è seguito un affinamento in barrique francesi di un anno e mezzo e in bottiglia sino ad oggi.

Guardando i premi e i punteggi ricevuti dalle più famose testate specializzate ho quasi il timore a far girare il cavatappi. Scherzo, vorrei avere tutti i giorni bottiglie del genere da aprire!

Benvenuto. Ha un colore rosso sanguigno scuro, impenetrabile. La consistenza lo fa muovere lento e pesante nel calice. I profumi portano subito alla macchia mediterranea, alle bacche rosse macerate di ciliegie e mirtilli. Basta muoverlo un pochino per scatenare sentori terziari di cuoio, sottobosco e spezie come la noce moscata e il pepe nero. Lentamente si apre regalando tante sfumature ed in particolare una nota mentolata elegante, morbida ed integrata. 

È in bocca che a mio avviso mostra tutta la sua stoffa e si distingue da altri buoni vini che però non arrivano a questo livello. A fare la differenza (davvero evidente) è l’armonia generale, la piacevolezza che trasmette. Una sensazione vellutata nel palato, con una progressione aromatica che sfocia in un arcobaleno di aromi, sostenuta da un’acidità equilibrata e tannini adorabili per come riescono a stare in disparte pur mostrando la loro presenza. Il finale aromatico si allunga su sentori di cacao che sfumano insieme a ricordi di piccoli frutti rossi sotto spirito. La bocca si scalda e asciuga (il volume alcolico è del 14,5%), viene voglia di un’altro sorso, fresco all’inizio e via via più morbido. 

Gli otto anni restituiscono un vino ancora vivo che può tranquillamente raggiungere il decennio e più. Memorabile.

Luca Gonzato

Il Merlot di Kabaj

Merlot 2011 Kabaj. Grande espressione di eleganza in questo rosso da uve di Merlot macerate per 30 giorni ed affinate per quattro anni in barrique. Il ventaglio olfattivo è davvero ricco, dai sentori balsamici ai frutti in confettura di ciliegia e prugna. Fanno capolino note di cacao e liquirizia.

La morbidezza e rotondità si apprezza grazie ad una bella base acida e a tannini evoluti. A colpire è però l’equilibrio e l’armonia che lo rendono unico. Un Merlot Sloveno che può stare a testa alta a fianco di un merlot di Pomerol. Più che ad un abbinamento con il cibo penso a qualcosa che possa accompagnarlo senza aggiungere o togliere niente, lui è già ottimo così. Dei grissini torinesi possono bastare ma se la fame è tanta sfiderei una fiorentina.

Luca Gonzato

Le “Bolghereise”

Villa Donoratico 2016, Bolgheri, Tenuta Argentiera.

Rosso toscano composto da uve di Cabernet sauvignon 50%, Merlot 30%, Cabernet franc 15%, Petit verdot 5%. 

Tenebroso e compatto nel calice regala profumi intensi di more e ciliegie, viole, cuoio. Entra fresco in bocca, con frutti maturi al punto giusto, si allunga come polpa di ciliegia che si scioglie lentamente in bocca affiancato da note morbide di legno, nel finale una nota vegetale e una chiusura di liquirizia. 

Equilibrato e vellutato nei tannini. Fa un anno di barrique, in perfetto stile bordolese. Questo Bolgheri si dimostra generoso ed appagante. 

La Tenuta Argentiera, che deve il nome alle antiche miniere d’argento, si trova a Donoratico (LI), da lì non si vede la Garonne ma il mar Tirreno, decisamente più bello. A parte la battuta, è un bel esempio di eccellenza vinicola italiana. Il costo è corretto, poco meno di 20€.

L’abbinamento con il cibo andrebbe alle carni, penso ad una tagliata al rosmarino oppure ad un grosso hamburger di manzo ma sognerei di provarlo con un’anguilla stufata nel vino rosso a ricordare la ‘Lamproie à la bordelaise’.

Luca Gonzato

Sfumature di Bordeaux

Le vigne fuori le mura di St Èmilion

Bordeaux, l’aerea vinicola più grande al mondo, il luogo dove alcuni dei vitigni più conosciuti trovano la loro massima espressione. Parlo di Merlot, di Cabernet Sauvignon e di Cabernet Franc. Ma non dimentichiamo i bianchi, in particolare il Sauvignon Blanc e il Semillon. Gli spumanti Crémant di Bordeaux e i vini dolci di Sauternes e Barsac. Un universo, quello di Bordeaux dove l’uva è al centro di ogni cosa.

Per dare un’idea delle dimensioni di questa zona vinicola, i numeri riportati sulla guida 2019-2020 dell’ufficio del turismo bordolese sono:

  • 645 Milioni di bottiglie commercializzate ogni anno
  • 20 bottiglie di Bordeaux vendute ogni secondo nel mondo
  • 123000 ettari di vigne
  • più di 5000 Château
  • 52 cantine cooperative
  • 4,4 milioni di visite ogni anno nelle cantine

Il mio tour inizia da una delle zone simbolo del Merlot, Saint-Emilion, nella parte nord ovest del Bordeaux, lungo il fiume Dordogne. La cittadina è un piccolo gioiello, quest’anno festeggia 20 anni dalla sua proclamazione di patrimonio mondiale Unesco.

Vicino alla cattedrale c’è la sede del consorzio viticoltori dove è possibile degustare e acquistare. Si susseguono i negozi di vino, sembrano boutique e fanno bella mostra di etichette altisonanti.

Fuori da uno di questi negozi era presente un display con le quotazioni delle bottiglie più rare e rinomate. Numerose anche le enoteche dove poter degustare. Intorno alla cittadina i vari ‘settori’ di vigne.

In questi giorni d’agosto c’è parecchia gente ed anche trovare da parcheggiare non è stato semplice però è sicuramente un posto dove fermarsi a fare una visita.

Vigne tra St Èmilion e Pomerol

La tentazione di vedere dove fossero quei famosi Chateau è stata troppo forte e sebbene non vi fosse possibilità di visitarli ho comunque voluto vedere dove si trovavano le vigne. Parlo di Pomerol, a nord di Saint-Emilion e degli Chateau Cheval Blanc e Petrus. Cantine leggendarie i cui vini arrivano a costare migliaia di euro a bottiglia.

Si respira nell’aria che ci si trova in luoghi particolari, tutto è molto curato e le vigne tenute come giardini, vige una ricerca assoluta di qualità.

Gli Château si susseguono su ogni strada percorribile di questa zona, la tentazione di fermarsi è incessante.

La Dordogne a Libourne

Spostandosi a Libourne ho potuto vedere da vicino il fiume Dordogne, marrone, limoso. Ha percorso centinaia di chilometri dal Massiccio centrale a qui, superando foreste immense e portando con sé un patrimonio di sostanze minerali che andranno ad arricchire il suolo bordolese.


Vigne nella zona di Entre-deux-Mers

Tra i due fiumi, Dordogne e Garonne c’è la Aoc di Entre-deux-Mers, qui i terreni sono più sciolti, limosi e sabbiosi, dominano i vitigni bianchi di Sauvignon Blanc, Sémillon e Muscadelle.

L’Abbazia di La Sauve-Majeure

Vale la visita l’imponente struttura dell’Abbazia di La Sauve-Majeure. All’ingresso è anche presente la “Maison des vins”, enoteca dove si possono fare degustazioni e acquistare vini a buon prezzo.

Passiamo ora alla visita di uno château nella Aoc di Fronsac. Tra le centinaia di château che avrei potuto visitare, ne ho scelto uno che è certificato sia biologico che biodinamico. Lo Château De La Dauphine.

Lo Chateau de la Dauphine, ora residenza di vacanze della famiglia Labrune, proprietari.

È uno storico Château, costruito nel 1750 dove è passata Marie-Josèphe De Saxe, detta la Dauphine (delfina) di Francia (moglie di Luigi Ferdinando di Francia ‘il Delfino’, figlio di Luigi XV) madre degli ultimi re di Francia tra cui Luigi XVI. La sosta qui, di qualche giorno della Dauphine, ha dato il nome alla proprietà. Il castello è passato di mano varie volte e durante la seconda guerra mondiale, occupato dai tedeschi, è stato completamente svuotato e ne sono andate perse tutte le bottiglie storiche. Nel 1985, François-Régis Marcettau of Brem vendette La Dauphine alla famiglia Moueix di Libourne (Château Petrus, Château Trotanoy e Château Magdeleine). Nel 2000, Jean HAalley, ex leader e co-fondatore del Gruppo Promodes (Carrefour) l’acquistò. A lui e a suo figlio si devono i grandi investimenti volti a migliorare la qualità della produzione e il valore della tenuta. Nel 2015 la tenuta è stata venduta alla famiglia Labrune, fondatrice di Cegedim, una società che opera nel mondo della sanità.

Una parte di vigna, a Merlot, di fronte alla cantina. In fondo, dietro le case e gli alberi, passa la Dordogne.

È del 2015 il primo millesimo certificato biodinamico. Gli ettari coltivati totali sono 53, con uve prevalentemente di Merlot e in percentuale minore di Cabernet Franc. I terreni della proprietà sono molto diversi tra loro, si va da quelli ricchi di sabbia e limo, che si trovano molto vicini al corso del fiume (Dordogna), a quelli prevalentemente d’argilla e calcaree della côte (costa della collina).

Grappoli di Merlot nella fase dell’invaiatura

Come ogni viticoltore biodinamico, anche alla Dauphine i trattamenti sono limitati a rame e zolfo oltre che a nebulizzazioni di tisane naturali a seconda della necessità e del periodo vegetativo. Certo che, come ci spiegano, in questa zona umida e dove le piogge sono frequenti, è dura operare in biodinamica ed infatti non sono tanti i produttori biologici e ancora meno quelli biodinamici. La Cantina è spettacolare, una struttura circolare ‘a caduta’ la prima nel Bordeaux. Al centro arrivano le uve (raccolte a mano in cassette), vengono diraspate per poi passare su una griglia dove gli acini più piccoli (non maturi e troppo acidi) cadono e vengono scartati. Attraverso un nastro trasportatore si passa ad una controllo manuale dove 5/6 persone tolgono gli acini marci o altro materiale che può trovarsi tra i chicchi. A questo punto vanno in macerazione per 3/4 settimane in vasche di cemento con frequenti follature e rimontaggi. La fermentazione avviene con lieviti naturali, quelli presenti sulle bucce. Dopo la svinatura si procede al passaggio delle bucce nelle pressa centrale del piano inferiore della cantina da cui si potrà prendere, se necessario, una piccola parte da aggiungere alla cuvée per mettere la firma Dauphine al vino.

Tutte le parcelle vengono vinificate separatamente e solo alla fine si procede all’assemblaggio. L’affinamento avviene in barrique con 1, 2 o 3 anni d’età e realizzate da diversi produttori. Ne ho viste di almeno tre tipi dove la differenza è il grado di tostatura oltre che la provenienza dei legni. L’impressione è che Dauphine potrebbe produrre un sacco di etichette tra le sue 200.000 bottiglie totali. Magari di ogni Cru ed invece sono solo tre i vini che realizza. Un rosato, Château de La Dauphine Rosé, fresco e semplice da bere, blend di Merlot 80% e Cabernet Franc 20%. Poi un rosso, Merlot 100%, il Delphis de La Dauphine, fruttato e beverino (parlo comunque di un gran Merlot) proveniente dalle vigne più vicine al fiume ed infine, il Top di questa cantina, lo Château de La Dauphine, Merlot 90% e Cabernet Franc 10%, dalle vigne più strutturate che si trovano in collina.

L’affinamento in barrique è di un anno. È un vino molto equilibrato, succoso di frutti rossi e ricco di aromi che vanno dalla vaniglia al cacao fino all’humus e al cuoio. Elegante e persistente, trasmette sontuosità e ampiezza. Costo sui sui 25€. 

Le Canelés de Bordeaux

Una nota finale, a riguardo della vinificazione, tipica di Bordeaux, è l’utilizzo del bianco d’uovo per la filtrazione (il bianco scende verso il basso portando con sé le impurità e le parti solide). A questa pratica si è aggiunta la necessità di sfruttare la parte rossa dell’uovo, il tuorlo, che insieme agli aromi di rum e vaniglia, danno origine al dolce tipico di questa zona, le Canelés de Bordeaux. Ottimo.

La Dordogne nei pressi di Fronsac

Passiamo da Bordeaux, gran bella città con la sua cattedrale, la torre dell’orologio e gli edifici storici.  Si affaccia sul fiume Garonne che è ancora più grande della Dordogne.

La Garonne a Bordeaux

Seguendo il corso del fiume, si arriva alla Cité du Vin, il monumentale museo del vino la cui forma ricorda un enorme decanter.

Dopo una sosta e un giro tra le vie delle città prendiamo la direzione Medoc, meta Pauillac. Nel tragitto c’è il tempo per prenotare la visita ad uno Château di Margaux, non quello più famoso ma comunque il quinto dei Grand Cru classé del 1855, Château Dauzac. Lo raggiungiamo nel pomeriggio, ripercorrendo un pezzo di strada all’indietro ma sulla parte interna, più vicina al fiume.

Si susseguono le vigne e le indicazioni degli Château. A Margaux si uniscono i fiumi Dordogne e Garonne dando vita alla Gironde che sboccherà poi sull’Oceano. Le vigne sono basse, l’orizzonte si allunga e il cielo costellato da piccole nuvolette bianche sembra di poterlo toccare. Qui il Cabernet Sauvignon trova il terreno migliore, una stratificazione di sassi, sabbia e argilla. Materiali trasportati e sedimentati da millenni. 

Château Dauzac è una tenuta di circa 49 ettari, la sede è un gioiello di eleganza e sostenibilità. Il castello, i prati ben curati e i laghetti, la cantina perfetta ed immacolata. La storia è lunghissima, accenno solo che inizia nel 1190 quando il più anziano proprietario di Margaux nel settore vinicolo riceve i terreni da Riccardo 1° (cuor di leone), re d’Inghilterra, conte dei Poitiers, duca di Aquitania, conte di Maine e di Anjou. Nel 1685 il commerciante di vini di Bordeaux, Pierre Druillard, tesoriere di Francia fece diventare i vigneti tra i più belli di Francia. Nel 1700 il Domaine passa al nipote, Jean-Baptiste-Lynch, sindaco di Bordeaux per grazia di Napoleone. Nel 1863, Johnston, proprietario anche di Ducru-Baucaillou crea la prima etichetta gialla. Il direttore della proprietà, Ernest David, sviluppa la famosa ‘poltiglia bordolese’ (fungicida a base di rame), che ha salvato i vigneti dalla rovina e probabilmente la viticoltura mondiale. Nel 1955 la proprietà viene acquistata dal Sig. Bernat, proprietario di Glacierès Bernat. È sua l’idea di introdurre del ghiaccio nelle vasche durante la fermentazione, realizzando così i primi passi della termoregolazione. Nel 1989, dopo il passaggio di Miailhe e Chatellier, il MAIF (società assicurativa francese) prende il castello diventandone l’unico proprietario fino ad oggi.

I vigneti Dauzac sono coltivati per il 30% a Merlot e il restante 70% a Cabernet Sauvignon. Le vigne storiche sono nei terreni più elevati. Un detto della zona è che “i migliori Château devono vedere il fiume”. Qui c’è tutto, terreno stratificato; esposizione ottimale; vista e vicinanza del fiume che porta con sé le correnti d’aria atlantiche. La Cantina è moderna e pulitissima. Spettacolari le botti tronco coniche che possiedono solo loro e Château Petrus. Una nota interessante è quella relativa all’utilizzo di una proteina vegetale derivata dalla patata per la chiarificazione del vino al posto del bianco d’uovo. Questa soluzione conferisce al vino la qualifica di Vino Vegano. Le barrique d’affinamento sono fornite da sei diverse tonnellerie, in parte nuove o al massimo di 2-3 anni. Anche qui sono solo tre i vini prodotti.

In degustazione Labastide Dauzac 2015, cuvée di Cabernet Sauvignon 32% e Merlot 68%. Solo acciaio per questo vino potente ma ancora tannico. L’Aurore de Dauzac 2014 è invece composta dal 70% di Cabernet Sauvignon e 30% da Merlot. Più semplice da bere con un bel frutto fragrante. Il terzo vino è quello che aspettavo di assaggiare, lo Château Dauzac 2016, 68% di Cabernet Sauvignon e 32% Merlot, affinato in barrique nuove per il 68%. Ottimo, starei qui a sorseggiarmene una bottiglia intera. Bel frutto, armonia, rotondità, lunghezza aromatica. Immagino quanto possano essere migliori le bottiglie delle annate precedenti. Questo 2016 è ottimo ma la sensazione è che abbia ancora necessità di qualche anno per arrotondarsi ancora di più e mostrare tutta la sua potenzialità.

Purtroppo una bottiglia come questa costa sui 50€ e se si va alle annate precedenti le cifre praticamente raddoppiano di anno in anno. Da non dimenticare che questi vini sono ricchi di polifenoli, tannini e acidità che gli consentono un lungo invecchiamento. Vini che iniziano ad esprimere il loro meglio dopo almeno cinque anni. Del resto anche al nostro amato Barolo servono anni per indossare il miglior vestito.

La Gironde a Pauillac

Altra tappa in questa zona è Paulliac, sulla Gironde, bella cittadina che si affaccia sul fiume. È un’altra denominazione famosa, posta tra quella di St-Julien-Beychevelle e quella di St Estèphe, ci si trova comunque nell’ampia zona dell’Haut Medoc. Delle grosse bottiglie svettano come fari all’inizio dei pontili che danno accesso al porticciolo. Le acque della Gironda sono fangose e per niente rassicuranti. Immagino i vascelli che risalivano il fiume per arrivare a Bordeaux, quanta storia è passata da qui. La cittadina sembra aver vissuto un periodo di splendore che ora è però solo un ricordo. Sono pochi i turisti che passano da Paulliac. 

Intorno è tutto un susseguirsi di Château e di vigne. Ripenso a St Emilion, i chilometri percorsi tra le colline e i boschi, i tanti laghetti, i villaggi, i grandi fiumi e le foreste. Al centro le vigne, un terroir incredibile dove per poter cogliere tutte le sfumature delle diverse zone, che si riflettono nei vini, ci vorrebbero probabilmente degli anni. Per ora un piccolo assaggio ed un tassello in più nella comprensione di questa zona vinicola.

Luca Gonzato

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