Categoria: barbera

Gallianum 1999, Barbera del Monferrato DOC Tenuta Gaiano

Il 1999 evoca tanti ricordi, quello più presente è il capodanno a Bruxelles, in piazza, con una bottiglia di vino nascosta nel cappotto (era vietato introdurre vetri), e quella ragazza che sarebbe diventata mia moglie al mio fianco… ero giovane, tutto sembrava possibile. Ora guardo questa Barbera del ’99 e mi chiedo se è possibile che sia ancora bevibile. Il colore è bello, rubino e mattonato sull’unghia, denso alla rotazione. Si muove lentamente negli archetti. Il volume alcolico del 13,5% in etichetta mi sembra pochino per essere una Barbera però tutto questo colore è sinonimo di una buona presenza di polifenoli, antociani. È limpido e luminoso, direi che sta bene.

Lascio che si apra per circa un’ora e con sorpresa riscontro dei profumi evolutivi importanti e nessun cattivo odore evidente. Note eteree e di catrame si uniscono a sentori di piccoli frutti sotto spirito, ciliegia, mirtillo. Sfumature che ricordano le mandorle delle caramelle Rossana e balsamiche. La spinta olfattiva arriva dai norisioprenoidi, appunto quelle note di “goudron” dovute ad una evoluzione così lunga.

All’assaggio stupisce perchè cambia prospettiva, la morbidezza che mi aspettavo non c’è, è fresco e minerale, succoso come se il cuore fosse fatto di succo di ciliegia Durone. Ha ancora una buona acidità e tannini setosi. Quegli aromi nasali di catrame sono ai margini. Wow al gusto è ottima. È armonica e lunghissima nella persistenza aromatica. 22 anni, da non crederci!, spettacolo. Non voglio più sentire che la Barbera è un vino da consumare in gioventù, questa sarebbe da fargli un monumento.

Purtroppo non ho informazioni sul produttore, se non che è la Tenuta Gaiano di Camino in provincia di Alessandria. Il nome Gallianum dato a questa Barbera del Monferrato è probabilmente dovuto ai primi insediamenti romani. Il nome del paese, Camino, secondo la tesi sostenuta da Aldo di Ricaldone (giornalista e scrittore), deriva da Caminus, ”camo”, fornace, perchè qui si fondeva il minerale da cui si estraeva l’oro, ricercato nelle aree vicine all’abbazia di Lucedio (fonte: Comune di Camino).

E allora mi viene da sorridere perchè quella “mineralità” che avevo timore di menzionare potrebbe avere un senso. Caratterizza questo vino con eleganza conferendogli un carattere maturo e vigoroso. La sensazione minerale si sente sulla lingua, ricorda la pietra, l’ardesia, i sali minerali…

Caspita che buona, vorrei che il lettore potesse assaggiarla per comprenderne la descrizione, lo so che non può succedere (anche perchè non arriverà a domani) però può diventare un suggerimento a dimenticarsi qualche Barbera in cantina e riscoprirla un decennio dopo.

Sono contento d’aver negato un futuro da oggetto d’esposizione a questa Barbera regalatami da una persona che, per quanto appassionata di vini, la riteneva già “scaduta”. Queste poche righe fermano una cosa bella che meritava d’essere ricordata.

Love Barbera

Barbera 2018, Auriel

Barbera in legno?

Oh yes!, viva la Barbera affinata in legno. Auriel, è la cantina di Felice Cappa e sua moglie Marta Peloso. Realizzano questa Barbera del Monferrato utilizzando uve coltivate in regime biologico/biodinamico su terreno argilloso-calcareo a circa 350 m slm. Le uve fermentano con lieviti indigeni, il vino affina 12 mesi in botti di rovere da 20/35 hl – non viene filtrato. L’ Annata che assaggio è la 2018.

Profuma di ciliegie e piccoli frutti neri, legni antichi e incenso. All’assaggio ha quella bella verve tipica della barbera, con sentori di viola e prugna nel retronasale. Il legno l’ha resa più docile, anche nel retrogusto che riporta note vanigliate. Il tannino è evoluto e fine, insieme all’acidità se la giocano a tenere a bada il 14% di volume alcolico. È comunque una Barbera di razza, vibrante e tesa, dal finale sapido e fruttato. Ho chiuso gli occhi e sognato il gran bollito piemontese ad accompagnarla.

Buttafuoco 2015 Vigna Pregana, Quaquarini

Il logorio della vita moderna minaccia la nostra esistenza, e allora? Allora affidiamoci alle virtù salutari del Buttafuoco Storico dell’Oltrepò Pavese. Una botta di Polifenoli e Resveratrolo che oltre alla bontà del vino ti regalano una forte azione protettiva sul cuore e una potente attività antiossidante.

Quello che vi presento è un Buttafuoco da agricoltura biologica. A produrlo è la cantina Quaquarini di Canneto Pavese (PV) che ne coltiva le uve nella vigna storica di Pregana, a cavallo dei comuni di Castana, Montescano e Canneto Pavese, al centro della zona del Buttafuoco. 

Il vino ha davvero tanto colore e toni scuri quasi impenetrabili. I profumi sono austeri e intimoriscono, come trovarsi con l’auto in panne in una serata nebbiosa, bussare alla porta di una cascina e trovarsi di fronte una persona anziana, rugosa e barbuta con lo sguardo severo. Ne esce un profumo di bosco, di tabacco, di frutta macerata. Riesco a scorgere il caminetto dietro le sue spalle che scalda la stanza. L’accoglienza all’assaggio è la migliore possibile, si apre su aromi dolci di frutta sotto spirito, ciliegia, frutti di bosco. La bocca si scalda del 14° di vol. Mi guardo intorno è arrivano sentori speziati e di astringenza tannica. Mi accomodo sul divano ammirando la stanza piena di oggetti e questa annata 2015. Tutto sa di lavoro in campagna, di stagioni e di tradizione. La persistenza è lunga ed è un ottimo accompagnamento ad una chiacchierata in compagnia. Ho immaginato l’abbinamento con le castagne ma uno stufato con polenta sarebbe più appropriato. 

L’uvaggio è Croatina 50%, Barbera 35%, Ughetta di Canneto 15%. 

Bel vino, forte, austero, dolce ed equilibrato allo stesso tempo. Un classico che rende merito ad un territorio di grande valore.

Nota sul Buttafuoco

Il marchio adottato è composto da un ovale, rievocazione della botte tipica dell’Oltrepò Pavese, sostenuto dalla scritta Buttafuoco e dal quale si dipartono due nastri rossi rappresentativi dei due torrenti, il Versa e lo Scuropasso, che delimitano la zona storica di produzione; all’interno la sagoma di un veliero sospinto da vele infuocate a ricordare che nella seconda metà del 1800, la Marina Imperiale austro-ungarica varò una nave dal nome “Buttafuoco”.

La leggenda vuole che il nome sia il ricordo di una battaglia perduta da una compagnia di marinai imperiali, comandati a operazioni di traghettamento sul fiume Po nei pressi di Stradella e successivamente impiegati su queste nostre colline nella guerra contro i franco-piemontesi. Un vino del luogo chiamato Buttafuoco ebbe più successo del fuoco della battaglia nell’ attirare a sè i baldi marinai, i quali, dentro una grande cantina, fecero strage di botti e bottiglie. 

(https://www.buttafuocostorico.com)

Ettore Germano, viticoltori dal 1856

Tornare tra le colline delle Langhe, patrimonio dell’umanità, è sempre un piacere. Questa volta il mio interesse mi ha portato a Serralunga d’Alba, uno degli 11 comuni del Barolo, nella storica cantina ‘Ettore Germano’, viticoltori dal 1856. A condurre l’azienda sono Sergio Germano con la moglie Elena ma nelle retrovie si sta già formando la quinta generazione. Ad accoglierci troviamo Simona, un’amministrativa che si occupa anche dei clienti, simpatica e preparata ci accompagnerà nella visita e nella degustazione.

Immagini di Sergio Germano all’ingresso

Il profumo di mosto arriva pungente dal piano inferiore, la vendemmia è stata fatta solo un paio di settimane fa. Nella zona di affinamento dei vini sono presenti botti di dimensioni diverse, barrique, tonneaux e botti grandi che arrivano ai 2500 litri.

Interessante vedere alcuni campioni di terreno provenienti da quattro cru, danno immediatamente l’idea delle diversità che caratterizzeranno poi anche i vini. 

Campioni di suolo dei Cru di Cerretta, Prapò, Lazzarito e Vignarionda.

I suoli della zona di Barolo sono famosi per le marne, stratificazioni formatesi milioni di anni fa nel Miocene, quando qui c’era un mare. Il formarsi delle colline ha quindi mischiato i terreni creando infinite variabili di terreno. Da Germano, nel Cru Cerretta, si trova la marna di Sant’Agata (Tortoniano), il colore tende al grigio/blu, il terreno è calcareo/argilloso; il Cru Prapò è calcareo/argilloso con strati di arenaria; il Cru Lazzarito è calcareo con presenza di una vena ferrosa e di calcio; in Vignarionda è calcare marnoso.

La sala di degustazione di Ettore Germano

Ci spostiamo poi nella sala di degustazione al piano superiore da cui si ha accesso a una grande terrazza sulle vigne. Si potrebbe godere di un bel panorama sulle colline ma purtroppo il clima è tipicamente autunnale con quella nebbiolina mista a pioggia polverizzata.

Nell’ampia sala sono presenti le belle carte tridimensionali di Enogea e i due ‘vangeli’ delle MGA così si possono vedere e comprendere sia la posizione dei Cru che le altitudini e le esposizioni. 

Le mappe 3D del Barolo DOCG e di Serralunga d’Alba a destra

Nel frattempo Simona ha preparato i calici ed iniziamo la degustazione con uno spumante metodo classico da uve di Nebbiolo al 100%. Si chiama Rosanna (nome della madre di Sergio) ed è un extra brut, affina sui lieviti per circa 18 mesi. È molto fine ed elegante con un bel finale dolce. Bella sorpresa, avevo assaggiato altri spumanti da Nebbiolo ma nessuno mi aveva mai conquistato, questo sì. 

Il secondo assaggio è la Nascetta, tipico vitigno bianco piemontese, dimenticavo di dire che Sergio ha introdotto la coltivazione di uve bianche, i vigneti si trovano però in Alta Langa a Cigliè. Questa Nascetta è decisamente particolare per complessità aromatica, conserva una bella freschezza ed acquista sentori più minerali anche grazie all’affinamento in anfora. Altro assaggio il Binel (significa gemello in piemontese), un blend di 85% Chardonnay e 15% Riesling, piacevole anche questo con note burrose, morbide e fruttate tipiche dello Chardonnay ed arricchite dai sentori evolutivi tipici del Riesling.

A questo punto, dopo che avevo manifestato la mia curiosità su questo vitigno, Simona ci fa la sorpresa di farci assaggiare anche l’Hérzu 2011, Riesling 100%. Mi si allarga il sorriso, qui i sentori di idrocarburi danzano con il frutto in un contesto di acidità che mantiene la bocca pulita e pronta ad accogliere un nuovo sorso. Grande, potente, lunghissimo nella persistenza, peccato che le scorte siano finite e non si possa acquistare. Passiamo ai rossi iniziando da una Barbera d’Alba superiore ‘della Madre’ del 2016, si percepisce un bel frutto rosso maturo e le note di tostatura in legno (tonneaux per 1 anno), vaniglia, cacao. Anche qui l’acidità lo rende facilmente bevibile. Ed ora il Nebbiolo 2018, vinificato con una breve macerazione sulle bucce. Sorprende perchè mi aspettavo tutt’altro ed invece mi trovo a degustare un vino elegante, sottile, più vicino ad un rosé che a un nebbiolo strutturato. Piacevole proprio per la sua finezza, da riprovare come aperitivo.

Arriviamo ai Baroli, Prapò 2014, Cerretta 2014 e Lazzarito riserva 2012. Un crescendo di piacevolezza e complessità che rende pienamente l’idea di questo territorio di Serralunga. I legni sono usati sempre con discrezione e finalizzati ad armonizzare più che ad aggiungere aromi. Come affinamenti, il Prapò fa botte grande per due anni, risulta ancora fresco, tannico, complesso negli aromi di frutti rossi e neri e tostatura. Il Cerretta mi è sembrato più pronto, con un tannino più vellutato, affina due anni in tonneaux da 700 litri. Bel Barolo anche questo. Infine la riserva Lazzarito, il cru con le vigne più vecchie, circa 80 anni. Qui il piacere è tanto, se nei precedenti era l’austerità e la verticalità ad imporsi, qui sono la familiarità e la rotondità ad arrivarmi come un abbraccio. Le uve fanno una lunga macerazione di quasi due mesi e poi affina in botte grande quasi 3 anni e minimo due anni in bottiglia. Corpo ed eleganza rendono questo Barolo una vera eccellenza. Un ultimo sguardo alle colline sorseggiando nuovamente i Baroli rimasti nei calici e già mi spiace dover andar via. Bella visita e grazie di cuore a Simona per l’ospitalità e la simpatia. Complimenti a Sergio che anche se non ho potuto conoscere di persona mi ha trasmesso attraverso i suoi vini una personalità forte, legata alle tradizione quel che serve e aperta a nuove interpretazioni, penso al Langhe nebbiolo e allo Spumante rosé ma anche all’interessante via intrapresa con l’introduzione dell’anfora.

Luca Gonzato

Oltrepò Pavese, Azienda Agricola Torti

Avevamo fissato da tempo la data per una gita in Oltrepò Pavese, la destinazione si è concretizzata solo ieri con la disponibilità dell’Azienda Agricola Torti di ricevere la nostra piccola comitiva composta da 7 appassionati di vino. L’accoglienza è stata a dir poco spettacolare. Dino Torti, la moglie Giusy, le figlie Patrizia e Laura, Baldo, tutti si sono prodigati nel rendere questa visita memorabile. In particolare Patrizia e Dino hanno saputo raccontarci le vicende dell’azienda e trasmetterci la loro passione per il vino che è arrivata alla quinta generazione. Un bel racconto che vede Dino Torti come primo protagonista del Pinot nero in Oltrepó Pavese, oltre quarant’anni fa, un’epoca difficile dove gli veniva dato del ‘matto’. Caparbietà e applicazione delle conoscenze acquisite nei viaggi in Francia e Australia gli permisero di concretizzare un sogno. Le prime vinificazioni in rosso del Pinot nero e i complimenti di autorevoli esperti come l’enologo Giacomo Tachis e via via quelli di altri produttori in altre regioni. Non era una follia quella di Dino nel voler fare il Pinot nero in rosso quando gli altri lo concepivano solo per la spumantizzazione, bensì la consapevolezza di avere a disposizione tutti gli ingredienti necessari per farlo bene. Il giusto clima, il giusto terreno (tra l’altro in una collina chiamata Borgogna ricca di minerali nel sottosuolo) e una famiglia che lo supportava. Il resto è un crescendo di successi che porteranno i vini di Torti in mezzo mondo.


Scorrono i ricordi e lo sguardo su queste colline vitate che nelle belle giornate lasciano intravedere Milano all’orizzonte. Negli anni la cantina è cresciuta sino agli attuali 30 ettari coltivati. Patrizia e Dino ci accompagnano poi al piano inferiore dove visitiamo la zona di affinamento dei vini. Sono schierate circa 500 barrique francesi, create ad hoc come composizione di legni, e una decina di botti grandi. Scopriremo poi che questa particolare scelta di ‘legni’ dona un carattere unico ai vini di Torti.

Per la degustazione c’è una sala dedicata dove troviamo una tavola giá apparecchiata con calici e taglieri di salumi vari e il caminetto acceso a scaldare l’ambiente, wow stento a credere che tutto questo sia stato preparato per noi, davvero troppo, grazie!!. Il primo assaggio è uno spumante metodo charmat prevalentemente da Pinot nero che ha una bella freschezza, sentori fragranti che vanno dall’ananas alla mela con accenti di miele e agrumi. Bell’inizio, si sposa alla perfezione con i salumi della zona. Segue un Pinot nero (in rosso), vinificato in acciaio dove si apprezzano i piccoli frutti rossi e se vogliamo la ‘semplicitá’ di un vino per un consumo quotidiano non banale. Altra cosa il Pinot nero 2010 affinato in legno che assaggiamo subito dopo, la punta di diamante dell’Azienda. I profumi terziari viaggiano a braccetto con le note di frutti rossi in confettura, sentori di cuoio e humus, mineralità, tannini evoluti e lunga persistenza. Un Pinot molto diverso da quelli prodotti in altre zone, unico nella personalità che lo contraddistingue, l’eleganza nel vino, il marchio Torti.

Ora però ci è venuta la curiosità di assaggiare le Barbera di casa. Patrizia, con grande disponibilità soddisfa anche questa richiesta. La produzione è suddivisa in un vino più giovane e fresco fatto in acciaio e una riserva affinata in legno. La prima Barbera ha una bella acidità che la rende molto beverina, ‘glugluglu’ e in un attimo il calice è svuotato. Di quei vini capaci di mettere d’accordo l’esperto bevitore e il neofita in quanto a piacere gustativo. La riserva è forse il vino che più mi ha colpito, per corpo ed eleganza, una signora Barbera che mantiene un bel frutto maturo in una cornice vellutata di tannini e profumi terziari di cacao, vaniglia e legni pregiati. Calda e ben strutturata, la definirei un’ottima compagna per le fredde serate che ci attendono nei prossimi mesi.

Il tempo è volato, è stato bello degustare tutti insieme tra una battuta scherzosa è una riflessione tecnica. Queste visite in cantina sono momenti che più di altri ti fanno amare il mondo del vino. L’incontro con chi produce è sempre una bella esperienza e se poi ti capita di conoscere persone come Patrizia e Dino ecco che raggiungi un livello superiore di piacere e consapevolezza. Capisci quanto sia importante per tutti questo rapporto vero, diretto e senza filtri capace di gratificare in egual modo produttori e appassionati. Qualcosa di concreto in mondo ‘istantaneo’ fatto di ‘like’. Se avete voglia di fare qualcosa di vero, fatevi un giro in cantina, quella della famiglia Torti ad esempio, garantisco su qualità e accoglienza. Ora scusatemi ma devo finire quel calice che mi sono versato a casa della Barbera 2009 di Torti ♥️, avevo già nostalgia.

Luca Gonzato

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