Autore: dipendechevino

Ho ancora molta sete di vino, sono solo all'inizio.

Chiaretto, Spumante Metodo Classico, Enrico Gentili

Un mesetto fa ho fatto visita a Enrico Gentili, titolare dell’omonima cantina e questo suo spumante ha catturato subito la mia attenzione. Le uve utilizzate sono le tipiche Corvinone, Corvina, Rondinella e Molinara. In uno spumante Metodo Classico non le avevo mai viste. Gentili è a Caprino Veronese nella zona del Bardolino, tra lago di Garda e Valpolicella.

Nel calice si mostra brillante, con una sfumatura rosata nel colore e tante tante bollicine che non vedevano l’ora di liberarsi. Portano all’olfatto dei piccoli frutti rossi di fragoline di bosco e lamponi, sentori di pasticceria secca e una nota di caramella al rabarbaro.
Le vigne sono condotte in regime biologico e le uve raccolte a mano. In cantina riposa sui lieviti per 20
mesi prima della sboccatura. In questo Chiaretto è avvenuta nel febbraio 2022. Non vengono aggiunti zuccheri, è un Dosaggio Zero.

L’assaggio è secco, asciutto, di corpo. Si percepisce subito la struttura data da uve importanti e l’eleganza di un Metodo Classico di livello superiore. Entra con una bella carbonica che lascia spazio a ricordi minerali salini e ad un sottile tannino. Nella progressione non concede sbavature ed arriva dritto e gustoso fino alla fine. Solo dopo, nella persistenza, la bocca diventa setosa e arrivano echi lontani di fragolina dolce e matura.

La curiosità era tanta, ed anche il timore che potesse rivelarsi un esperimento o poco più, invece è un gran bel Metodo Classico. Non diresti che sono le stesse uve dell’Amarone per intenderci, alla cieca avrei puntato lo sguardo più a ovest verso la Franciacorta per identificarlo.
Mi piace molto la persistenza aromatica, c’è complessità e pulizia. fanno capolino la fragolina, il rabarbaro, la pasticceria secca e persino un agrume di limone.

Il fatto di non averlo addizionato di zuccheri è stata la scelta migliore a mio avviso, c’è così tanta sostanza e dolcezza intrinseca che non serve altro se non la pazienza di aspettarlo nell’affinamento.
C’è lo stile di Enrico in questo spumante, finezza e precisione contraddistinguono questo Chiaretto così come gli altri suoi vini.
Valorizzare le uve e il territorio in modo diverso non era cosa semplice da realizzare ma questa scommessa Enrico l’ha vinta alla grande. È uno spumante che sorprende e conquista, assolutamente da provare.

Nativ-13, Leban

Qualche mese, a Nova Gorica (la parte Slovena di Gorizia), ho assaggiato un macerato che mi era piaciuto molto e così, al ritorno a casa, tramite il web ho trovato la cantina produttrice e fatto un ordine.
I vini sono arrivati e, come un bambino che riceve un nuovo giocattolo, ho aperto i cartoni e ho preso quello che aveva più anni, il Nativ-13 (è un’altro vino rispetto a quello già assaggiato in precedenza).

È un Orange wine (e non mi frega niente se è un termine che vi risulta antipatico e che sarebbe più corretto chiamarli bianchi macerati). Si presenta con un colore spettacolare che definire aranciato è il minimo. Limpido e cristallino che non diresti mai che è un non filtrato.
Il Nativ-13 ha fatto 6 MESI di macerazione in anfore d’argilla (Kvevri Georgiane) e 30 MESI di maturazione in botti di rovere.

I profumi sono deliziosi, puliti, di fiori e frutti essiccati, datteri. Senza il minimo difetto olfattivo.
L’ingresso in bocca è salino e abbastanza asciutto, tannico. C’è un ritorno agrumato d’arancia candita e spezie esotiche… curcuma, zafferano. Balsamico nel retronasale. Il tannino è ben composto, setoso. La complessità si espande a percezioni tattili fresche e avvolgenti. Gli aromi restano per minuti. Sfuma lasciando una memoria di piacevolezza e la bocca asciutta che vuole un nuovo assaggio.
L’uvaggio è 60% Chardonnay, 40% Rebula e Malvazija (Ribolla e Malvasia istriana).
Insieme regalano un vino elegante, armonico. Ne senti il respiro dell’anfora e la levigatura del tempo passato in legno. Bellissima evoluzione.
Lo Chardonnay mantiene il suo splendore aromatico. Ribolla e Malvasia lo sorreggono con corpo e mineralità salina oltre che nella loro maturazione aromatica. Il volume alcolico è al 12,5%.

Nativ-13 è un macerato che esce dalla bottiglia come il genio dalla lampada, sono passati 10 anni, ma lui è lì, sveglio e vivo, pronto ad esaudire i tuoi desideri gustativi con un’eleganza da maggiordomo.

La famiglia Leban ha vigne e cantina nella Valle del Vipava a Prvačina, frazione di Nova Gorica (Prevacina, Valle del Vipacco, vallata italiano/slovena). Come dice Borut Leban, il giovane enologo e titolare, “Il vino è creato dalla natura, noi lo rispettiamo e basta”, io aggiungo che per fare un Orange del genere ci vuole anche tanta attenzione e conoscenza.

Mi viene la pelle d’oca a pensare a certe espressioni improvvisate che ormai arrivano da tutta Italia e che sotto il cartello di “naturale” si mostrano scomposte, smaltate di vernice e per niente piacevoli…
Nativ-13 potrebbe essere considerato estremo per il suo percorso di vinificazione ed invece è maturato con stile ed ha tutte le caratteristiche per essere gradito sia dagli amanti degli Orange wine che dai neofiti del genere.

Bourgogne Pinot Noir 2021, Couvent Des Jacobins – Louis Jadot

Il Borgogna rosso Couvent des Jacobins è un Pinot Noir ottenuto dall’assemblaggio di vini selezionati provenienti da tutta la Côte d’Or – da Gevrey Chambertin a Maranges, nelle Hautes Côtes de Beaune e nelle Hautes Côtes de Nuits – ma anche dalla Saône et Loire nel sud (Mercurey, Givry.. .). Sono il risultato di una vinificazione tradizionale e un affinamento da 8 a 10 mesi in botti o in vasche d’acciaio inox prima di essere riuniti per l’imbottigliamento.

Alla vista si presenta sgargiante di un bel rosso rubino carico.

Olfatto, pulito, intenso e tipico del Pinot noir. Trovo un piccolo frutto rosso di bosco, la rosa rossa e una nota balsamica all’orizzonte.

All’assaggio si hanno sensazioni contrastanti. L’ingresso e quasi polveroso, terroso, in una percezione che porta poi ai sentori di sottobosco. Si scandiscono nel retrogusto i frutti rossi accompagnati da una sapidità minerale e da ricordi salmastri e balsamici che confermano l’olfatto. C’è complessità, su questo non c’è dubbio.

Ha corporatura che traspare in ogni piega che prende nel palato. Il volume alcolico è del 12,5%, pensavo fosse superiore perchè è un vino che scalda e avvolge.

Ha tante sfaccettature che si possono scoprire. Si trovano sfumature del passaggio in legno ma anche quella freschezza aromatica del ‘solo’ acciaio. Ogni Pinot noir che concorre lo fa aggiungendo qualcosa di particolare che poi come in un patchwork disegna qualcosa di unico.

Potrebbe essere una nota negativa questa del patchwork, come dire, facciamone uno con un po’ di questo e di quello ed invece gli conferisce una personalità che lo differenzia.

Equilibrio e persistenza sono notevoli. Rimane questa sensazione minerale salina associata al frutto che chiama l’abbinamento ad un cibo succulento. Forse pecca un pochino in eleganza ma se paragonato a tanti altri Pinot neri italici questo è di gran lunga meglio.

Guardando il sito di questa cantina ho notato la vastissima produzione ed ora vorrei proprio salire di livello, questo può essere ritenuto un approccio alla cantina, si parte davvero bene.

Depero rosso 2020, Vivallis

Vino dedicato al futurista, sperimentatore e teorico degli sviluppi industriali delle arti Fortunato Depero che nella Vallagarina, dove ha sede la società cooperativa Vivallis, trovò ispirazione per il suo lavoro. “Iride nucleare di gallo” è l’opera in etichetta. Le uve sono di Lagrein e Merlot.

Impenetrabile e misterioso alla vista, denso e pesante, concede un contorno scarlatto giusto sui bordi. Anche al naso si apre circospetto. Apre spiragli di frutta nera macerata di more, mirtilli  e speziature di chiodo di garofano e vaniglia.

L’assaggio arriva come una stretta di mano vigorosa. Si fa conoscenza e svela una personalità buona e disponibile. 

Acidità e volume alcolico del 13,5% sono ben bilanciati, il tannino setoso. La struttura si regge su questi tre pilastri. La progressione lineare, composta. Nell’allungo si scioglie la gustosa composta di frutta, un ritorno di ciliegia surmatura.

Ho ricordato alcune opere di Depero, il movimento, l’armonia delle forme. Ci sono anche in questo vino ma più che altro il parallelo lo si trova nella precisione delle linee che, parlando di vino si ritrovano anche qui. Il blend di uve è azzeccato, l’una è complementare all’altra. L’opera che ne esce è un disegno enoico esclusivo che associa eleganza e piacevolezza.

I secondi di carne ci andrebbero a nozze, inizio a salivare pensando ad un filetto di chianina. 

Bel vino da regalarsi o da regalare.

Marcel Reichmuth, vini naturali nel cuore delle Langhe

Non sono così sicuro di voler condividere queste scoperte enoiche, è come trovare un boschetto nascosto pieno di funghi, meglio tenerlo riservato che altrimenti ci vanno in troppi e poi spariscono. Non che la cantina che vi presento possa sparire, ma l’idea di frotte di winelover in gita mi disturba. Comunque non corro rischi, il mio blog è poco frequentato e far conoscere Marcel Reichmuth agli amici è un piacere.

Io e Marcel Reichmuth mentre parliamo di vitis

Una nebbiolina autunnale accompagna la mia incursione nelle Langhe.
Arrivare in Borgata Valdiberti a Dogliani, da Milano, è un bel viaggio e consente di passare tra i rinomati cru del Barolo per poi immergersi in un luogo incantato, la Borgata Valdiberti. Qui ha sede la cantina Cascina LeRocche di Marcel Reichmuth. Un luogo che Marcel ha accuratamente scelto più di vent’anni fa per realizzare il suo progetto di vini naturali. Marcel viene dalla Svizzera e dopo aver provato a lavorare nell’enologia convenzionale ha scelto di fare i vini in modo diverso. Lui e la moglie Ursula hanno quindi scelto Dogliani come luogo per costruire il loro futuro. Gestiscono l’azienda da soli, salvo le collaborazioni occasionali durante la vendemmia.

I vigneti si estendono intorno alla proprietà, seguendo il saliscendi delle colline, guardano a sud, in un anfiteatro in cui le diverse varietà sono allevate in armonia con la terra. I filari sono ricchi di vegetazione. La viticoltura biologica praticata, si avvale anche della omeodinamica (evoluzione della biodinamica).
Marcel è orgoglioso del suo lavoro e sorride dell’invidia provata dai vicini che devono ricorrere a trattamenti fitosanitari frequenti. La sua è un’oasi in questo territorio, fermo ad una viticoltura convenzionale ormai superata oltre che insensata.

Le pratiche in cantina sono ‘minime’, le uve arrivano sane e mature alla pigiatura, fermentano spontaneamente con i lieviti indigeni presenti in natura. I vini non sono filtrati. Ogni annata è per Marcel un nuovo capitolo e un vino diverso. Vini vivi che maturano per lunghissimo tempo tra barrique, botti e anfore.

La zona d’affinamento dei vini

Siamo nella terra del Dolcetto, nella DOCG Dogliani, ma Marcel è lontano anni luce dagli standard commerciali prestabiliti. Realizza vini fuori dai canoni e fuori dalle denominazioni.
Assaggiare i suoi vini significa rimettere in discussione tanti luoghi comuni. Primo fra tutti quello che il Dolcetto sia un vino piuttosto leggero, da bere giovane e senza grandi prospettive d’invecchiamento.

Il codice Reichmuth (vedi foto più avanti) dimostra il contrario. Marcel mi parla di vini di 10 e più anni come se fosse la cosa più normale del mondo.
Mi presenta il primo vino come un rosso vinificato in bianco, un rosato praticamente. Immagino sia di quest’anno, ma no. “Questo è giovane, ha solo quattro anni” esordisce.

Lo assaggi e sì, pensi che sia giovane, con questo frutto fragrante di melograno e lampone appena colto, fresco, minerale, scende con facilità, eppure ha quattro anni. Un vino che mi ha riportato all’estate e fatto immaginare un bordo piscina o un bordo tavola sotto la pergola nella calura estiva.
Il secondo vino è il Ladiv 2017, un orange wine dal colore pieno e dai profumi inebrianti di frutta disidratata d’albicocca e datteri. Fresco, godibile ogni istante.


Terzo vino il Folet (folletto), 2010. Boom. È vivo e pimpante, non me ne capacito, ci sono dei sentori vegetali e di sottobosco che demoliscono ogni convinzione. Poi è lunghissimo, complesso, un rosso ‘resistente’ con il 14,5% di Vol.. Si presta ad accompagnare cena e dopocena, raccontando tante cose e lasciandosi scoprire lentamente.


Segue il CRSTA 2009, Dolcetto 100%. Chi diceva del Dolcetto giovane? Affina minimo 4 anni in botte grande di quercia. Ed è lì, anche lui sull’attenti, con un tannino armato per affrontare un bisteccone alla brace.
E penso alle degustazioni dei ‘dolcetti fichetti’, in confronto erano dei bambini dell’asilo. CRSTA è in armatura, pronto a conquistare il trono di spade di Dogliani.

Con l’Autin si passa ad un Dolcetto più smussato, pronto, nel suo momento evolutivo probabilmente migliore. È del 2004. Potete non credermi ma è così. Solo un gran vino può arrivarci così e questo lo è. Il 15% di Vol., come negli altri vini, è inglobato bene nella struttura generale, accompagna senza disturbare. Un vino morbido e disteso, lungo. Esprime calma, armonia. Può accompagnare migliaia di parole in un dopocena.
Il Roche 2004 è il fratello del precedente, arriva da un’altra botte. Marcel, come se fosse un secondo figlio gli ha dato un nome diverso. Ed è così, è diverso, più chiuso e riservato nel carattere. Mentre nel gusto riporta un bel frutto in confettura ed una caratteristica aromaticità che è trasversale ed unica nei vini di Marcel. Qualcosa di vegetale, vivo e vibrante.
Con il Coccù 2010 arriviamo ad un blend di Dolcetto e Barbera in cui le due varietà danzano insieme. Si aggiunge una nota speziata pepata a dare briosità a questo vino che fa un anno di barrique e tre anni di botte grande.
Ultimo assaggio il Ladiv 2016, orange wine (come il primo ma annata precedente), che Marcel scherzosamente chiama ‘Piscia d’Angelo’, un macerato che fa barrique, botte grande e anfora. Tanta roba. Infinito. Quello che penso sia il più rappresentativo della produzione di questa cantina.

Il Codice Reichmuth che identifica per barre e colori le annate prodotte

È lo stesso vino che riassaggio questa sera, mentre scrivo e ricordo la bella giornata.
Che buono Marcel!!. Aromi puliti, ricordi fruttati d’albicocca matura, datteri, ginger, zafferano, cola. Acidità e un tannino sottile che chiama la cucina, quella asiatica sarebbe perfetta, o i formaggi erborinati. Wow. Ha il 15% di Vol ma è nascosto, ti frega, occhio!. Grande bevibilità, adoro. (rileggendo il post prima della pubblicazione mi avvicino pericolosamente alla mezza bottiglia).


Che bella degustazione, di solito faccio un sorso o due e basta, oggi avevo continuamente voglia di berne ancora un pochino di ognuno.
Sono vini generosi quelli di Marcel, hanno struttura. Tutta quella argilla sul terreno gli ha dato una muscolatura da wrestler.

Sono proprio felice d’aver conosciuto ed essermi confrontato con Marcel Reichmuth, ha rafforzato le mie idee su ciò che val la pena degustare e parlare.
I suoi vini mi hanno conquistato, sono buoni, sono in armonia con l’ambiente e anarchici nella capacità di distinguersi dalla massa. Li consiglio a quelli con la mente aperta a cui piace assaggiare vini veri.

Per favore, non parlatene troppo in giro di questa cantina, è un segreto tra me e voi.

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