Autore: dipendechevino

Ho ancora molta sete di vino, sono solo all'inizio.

Pallagrello nero, Il Verro

Con questo rosso del Volturno torno ad assaggiare il Pallagrello nero. Una varietà antica e tipica del Casertano. Ancora poco conosciuta ma dal passato glorioso, basta dire che veniva prodotto uno dei vini preferiti dai Borbone. Il nome si riferisce alla forma arrotondata degli acini e al termine dialettale ‘pallarello’ (rotondetto). 

Nel calice ho l’interpretazione prodotta dall’azienda agricola biologica Il Verro di Formicola (CE). Pallagrello nero 100%, Terre del Volturno IGP, annata 2018.

Alla vista è compatto e dal colore rubino intenso. I profumi ricordano bacche nere, mirtilli, la viola e qualcosa di vegetale balsamico. L’assaggio è equilibrato e succoso, con aromi retronasali speziati, penso alla carruba e al tabacco. Il tannino è presente in modo composto e suggerisce l’abbinamento a carni succulente. Si fa apprezzare per il carattere fragrante e allo stesso tempo per la buona complessità e piacevolezza. Il finale è vellutato, quasi sabbioso e sapido, ti invoglia a rinfrescarti nuovamente. Il volume alcolico del 13% gli dona quel giusto calore lasciando alla fragranza la prima fila.

Felice d’aver ritrovato il Pallagrello nero, un’altra perla nel panorama dei vitigni italiani. Buttando l’occhio su sito del produttore ho scoperto l’esistenza di un vitigno a me sconosciuto, il Coda di Pecora. Curiosità a 1000!

Azienda Agricola Il Verro Via Lautoni snc, Località Acquavalle, 81040 Formicola, Caserta – Sito web

Ici et maintenant 2016, Les Petits Riens.

Ricevere o scambiarsi bottiglie di vino mi piace molto, più che ricevere ogni altro tipo di sorpresa. Il vino non mi delude mai, mi appassiona scoprirne la natura e il carattere di ognuno. Ed è così, da uno scambio tra amici e vicini, che mi arriva questo vino valdostano dal nome francese (Qui e adesso). Il cordino e la cera sopra al tappo ricordano lo stoppino di una candela, senza remore l’accendo augurandomi che quel pochino di raffreddore che mi sento non sia Covid. Comunque sento ancora i profumi e già questo è un buon segno. Liberata una linea a metà tappo procedo alla stappatura.

Al naso è speziato, pulito, con sentori di frutti rossi come lamponi e ciliegie. Si muove denso nel calice, su toni rubini che si mostrano solo sui bordi. Disegna begli archi sulle pareti, mi aspetta un vino dal 13,5% di volume alcolico, fermentato con lieviti indigeni e affinato per 24 mesi sulle fecce, 30% in botte. Le uve non sono quelle tipicamente associate alla Valle d’Aosta ma raccontano dell’origine francese di Fabien che insieme alla milanese Stefania danno vita all’azienda agricola Les Petits Riens e di come le varietà Syrah (90%) e Mondeuse (10%) si siano adattate al territorio Aostano. Le vigne si trovano a Regione Chabloz tra i 600 e gli 800 m/slm su terreni con matrice sabbiosa. Praticano una viticoltura sostenibile, biologica e biodinamica.

Ora però voglio assaggiare. Nelle righe precedenti il vino si è preso il tempo per adagiarsi ed aprirsi. Sprigiona tutta la bellezza del Syrah con le sue spezie, il pepe nero, il chiodo di garofano, poi ci trovo il colore viola del fiore omonimo e della prugna. Equilibrato e vellutato si allunga su un finale che mi ricorda le erbe di montagna. Butto l’occhio sul retro etichetta dove chiude la scritta – Con amore -, una dichiarazione importante che sigilla l’autenticità di qualcosa che si percepisce nell’armonia del vino. Si apprezza anche una bella sensazione di mineralità e freschezza che vorrei chiamare giovinezza ma che in realtà è il modo in cui questo vino sta dicendo che avrà una bella evoluzione nei prossimi anni. Bel mood questo vino che tocca il cuore, Ici et maintenant. 

Luca Gonzato

Serra del Prete 2016, Musto Carmelitano

Vino rosso, di quelli vivi ed energici. Il Serra del Prete 2016 della famiglia Carmelitano. Porta nel calice una fotografia naturale e potente de Vulture. Bacche nere di mirtilli e ciliegie surmature, viola, note ematiche e speziate. Un bouquet compatto che introduce un sorso ricco e vibrante dove esce tutta la fragranza fruttata e una bella sapidità. Le uve di Aglianico e la vinificazione in acciaio e cemento, insieme all’utilizzo di lieviti indigeni, conservano nel calice un vino vulcanico e vivo. Chiede cibo per essere apprezzato al meglio, lo vedrei bene con uno stinco di maiale ad esempio, in realtà mi accontento di un pollo arrosto e ci fa una grande figura il vino. Il tannino è composto e per niente invadente. La persistenza è abbastanza lunga e viaggia sulle note fruttate e speziate. Oltre ad essere un buon vino ha anche un ottimo rapporto qualità/prezzo. Il volume alcolico è del 14%. Biologico certificato.  

Musto Carmelitano, Via Pietro Nenni 23, Maschito (PZ), sito

Cannonau 2018, Le Anfore di Elena Casadei.

Estratto porpora di linfa mediterranea. Di piccoli frutti rossi e bacche nere. Un sorso che scivola elegante su note retronasali speziate. Arriva fresco in fondo, con sentori di lampone e vegetali di peperone verde ed erbe balsamiche. Rimane abbastanza per regalarti un tocco salino e un progressivo calore che avvolge e ammorbidisce la bocca. Il nuovo sorso non è una richiesta ma la risposta all’esigenza di allietare nuovamente il palato. Lo si sente respirare ad ogni passaggio, vivo, in movimento, un soffio di vento che porta i profumi della vegetazione. Elegante come solo i migliori Cannonau sanno essere. 

Agricoltura biodinamica, lieviti indigeni, lunga macerazione e affinamento in anfora. 14% di Vol.. Bottiglia 2509 di 4900. 

Un cannonau che arriva al cuore, moderno nel suo proporsi in antica veste.

Luca Gonzato

Si può dire che un vino fa schifo?

Sant’Ambrogio è una ricorrenza sentita a Milano, vengono conferiti gli Ambrogini e quest’anno la coppia più bella e celebre d’Italia se ne è aggiudicato uno. Io, nel mio piccolo, ho colto l’occasione per riesumare dai sepolcri quella bottiglia che mi era stata regalata un paio di anni fa. 

Un Recioto Amarone 1969 dell’Enoteca Sant’Ambrogio. In etichetta è riportato il vescovo milanese patrono delle api e delle startup. La bottiglia è un enigma, non sono riuscito a trovare nessuna informazione, posso solo dedurre alcune cose. All’epoca non c’era ancora la DOCG, in etichetta è riportato sia Recioto che Amarone, a testimoniare il passaggio che ha visto il Recioto (vino dolce da uve passite) sdoppiarsi per prendere la strada dell’Amarone. È famosa la definizione dell’Amarone come di un Recioto scapa’, cioè ‘scappato’, per il fatto che anzichè fermare la fermentazione e mantenere il grado zuccherino, e quindi la dolcezza, ha proseguito con il conseguente aumento di gradazione alcolica e struttura.

Ma veniamo alla mia reliquia. La capsula è integra e anche il tappo in buono stato. 💨 Poi però il cielo si è fatto cupo e la pioggia assordante. Ho iniziato a imprecare. In che altro modo avrei potuto reagire alla zaffata marsalata mista a castagne cotte e ciliegie marce che mi è arrivata?. Fa vomitare questo odore, mi viene da piangere, non c’è nemmeno quell’esile dubbio che ti farebbe dire ‘proviamo ad assaggiare’. È finita così. 

Allora posso dirlo che questo vino fa schifo? – No -, potrei dire che questa bottiglia fa schifo, magari ne esiste un’altra conservata perfettamente. Le distinzioni vanno fatte, soprattutto quando si tratta di giudicare una sostanza sensibile come il vino. Non si tratta di un vino buono o di un vino cattivo, si tratta di distinguere tra un vino sano e un vino malato (difettato) o un vino morto e in putrefazione come questo.

50 anni sono davvero tanti, anche per un Amarone, in realtà avevo messo in conto l’alta probabilità di un riscontro negativo. Il decennio di affinamento è generalmente un bel test di espressività per i grandi rossi italiani, fino ai 20 anni è probabile una buon mantenimento ma poi diventa sempre più difficile trovare vini in perfetta forma. Ho assaggiato rossi con 40 anni ancora buoni e ricordo uno Chateau Musar del ’77 strabiliante ma sono casi rari. 

Ai meno esperti consiglio di non aspettare troppo, soprattutto se il vino che conservate non è tra quelli che possono vivere a lungo, penso ad esempio a quelli che iniziano per B e finiscono per O. Poi è fondamentale conservare il vino a temperatura costante sui 14° e in assenza di luce. Nel dubbio meglio bersela quella bottiglia, finché ha qualcosa da dire. Le prossime festività potrebbero essere l’occasione giusta, io sicuramente faccio un controllo su cosa è a rischio. 

E tu sei mai stato deluso da una bottiglia sulla quale riponevi grandi aspettative?

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